Il governo randella gli editori. A fine anno sarà bloccata la pubblicità legale

A fine anno sarà bloccata la pubblicità legale. Una mazzata per il comparto. Ma per qualcuno di più.

Il governo randella gli editori. A fine anno sarà bloccata la pubblicità legale

Il governo Meloni sta facendo cose bellissime soprattutto per l’informazione e la trasparenza nella spesa pubblica. Non ci credete? In ogni caso fate presto a leggere queste lodi perché tra breve potrebbero non esserci più giornali in grado di criticare l’esecutivo, ma nemmeno di elogiarlo. Proprio grazie all’ennesima perla in economia, il 31 dicembre prossimo pioverà un nuovo colpo mortale sull’intero comparto dell’editoria.

A fine anno sarà bloccata la pubblicità legale. Una mazzata per il comparto. Ma per qualcuno di più

Per capirci: altre centinaia di giornalisti mandati a casa, le tipografie chiuse o che lavorano al minimo, le cartiere in fallimento, i distributori e i trasportatori disoccupati e, in coda alla catena, la sparizione delle edicole, peraltro sempre più rare anche nelle grandi città. A determinare tutto questo, in un periodo già drammatico per il settore della carta stampata, è l’abolizione della pubblicità legale, cioè l’evidenza pubblica di quanto spendono le pubbliche amministrazioni, attraverso degli appositi annunci sui quotidiani.

Questo compito è passato a luglio scorso all’Anac, l’Autorità anticorruzione, che ha predisposto un’apposita pagina sul suo sito web, dove è pubblicata la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (oppure Bdncp, come appare in sigla, giusto per restare nel burocratese). Tale decisione passa dal nuovo codice degli appalti, di cui il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini fa un gran vantare, e ha tre logiche di fondo: la prima è l’adeguamento alle regole di settore in Europa, la seconda è di sburocratizzare le procedure per gli acquisti e la terza di far risparmiare alle stazioni appaltanti la spesa per gli annunci sui giornali, nonostante questi siano utilissimi a tutte le imprese interessate.

In realtà questi ultimi due aspetti sono irrilevanti, perché le procedure di pubblicazione passano da automatismi veloci e ormai largamente collaudati, mentre la spesa è irrisoria rispetto alla mole di miliardi impiegati. Recenti rilevazioni indicano in circa 40 milioni il costo totale di questi avvisi, peraltro rastrellati per circa la metà dal Sole 24Ore, mentre il resto va prevalentemente al Corriere della Sera, Repubblica e i giornali della galassia Caltagirone (Il Messaggero, il Mattino e Il Gazzettino). Alcune centinaia di migliaia di euro vanno anche ai quotidiani del gruppo Angelucci (Libero, Il Tempo e il Giornale, recentemente acquistato per il 70% dalla famiglia Berlusconi). Quello che resta, in quote sempre minori va a quasi tutti gli altri quotidiani italiani (compreso questo), e in particolare ai cosiddetti giornali di prossimità (regionali e locali), che senza questi ricavi – per quanto minimi – ci campano.

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Perciò la Fieg, la federazione nazionale degli editori ha sempre difeso questo genere di pubblicazioni, che insieme alla massima visibilità sulla spesa pubblica hanno aiutato non poco il comparto della carta stampata. Le ultime pressioni sul governo e sul Dipartimento per l’editoria, dove il sottosegretario è il forzista Alberto Barachini, però, sembrano cadute nel vuoto. E non è passato inosservato che la legnata sarà il benvenuto ad Angelucci dopo l’esborso sul quotidiano ancora per poco in via Negri, a Milano.

Al contempo, se Caltagirone non incasserà la curiosa riforma ad personam sulla governance delle grandi società, in cui spera per farsi gli affari suoi in Mediobanca e Generali, con questa nuova norma sui giornali perderà un altro mucchio di soldi ogni anno. Resta il fatto che negli Stati europei gli appalti non sono pubblicizzati sui giornali, ma la prassi in Italia non contraddice le regole comunitarie, bensì le integra a vantaggio della trasparenza, che in un Paese con tanta corruzione non è mai abbastanza.