Renzi fa sul serio: pagano banche e manager

di Angelo Perfetti

Sarà anche populista, potrà anche essere una strategia per depoteniare l’onda grillina, ma tutto ciò che Renzi ha messo nel mirino delle sue riforme costituisce esattamente ciò che la pancia degli italiani dice da tempo. Il fisco non tocca mai i poteri forti? Il premier programma una mazzata alle vanche. La crisi morde le famiglie? E il rottamatore si inventa il taglio agli stipendi dei manager pubblici. Più che le cifre, in questo caso conta l’empatia che Renzi sta riuscendo ad instaurare con gran parte del popolo. I numeri, comunque, ci sono. D’altra parte quello presentato ieri non era una mera dichiarazione d’intenti ma il Documento economico finanziario del Governo (Def), il canovaccio cioè sul quale si muoverà la politica economica dell’Itaia nel prossimo futuro. E il messaggio è chiaro: più tasse sulle banche e sulle rendite finanziarie. Meno tasse per cittadini e imprese. E anche per gli incapienti, chi cioè guadagna talmente poco da essere esente dall’Irpef.

La sorpresa
Le banche questa novità davvero non se l’aspettavano. Il governo ha scelto di finanziare parte del taglio del cuneo con il raddoppio della tassazione, al 26%, sulla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia e un gettito quindi che sale di 1,2 miliardi a circa 2,4 miliardi di euro. Un maglio, peraltro una tantum, che colpirà principalmente i maggiori azionisti di Via Nazionale (Unicredit e Intesa Sanpaolo) ma che proprio per questo rischia di dar luogo a ricorsi. A caldo le banche non nascondono la loro irritazione sia per il contenuto che e per il metodo. La notizia arriva infatti con l’uscita delle prime bozze nel tardo pomeriggio del Def ed è definita dal dg dell’Abi Sabatini “ingiusta e illogica”. In ambienti bancari non si nascondono le perplessità e le critiche. Prima del decreto sulle quote, che già all’epoca scatenò una feroce polemica contro “il regalo alle banche” fra le diverse forze politiche infatti fu previsto un aumento dell’Ires di 8,5 punti percentuali sulle banche che lo fece schizzare a oltre il 30% per non far pagare la seconda rata dell’Imu ai contribuenti. Un incremento che si è riflesso nei bilanci 2013 delle banche, molti dei quali hanno segnalato nero su bianco la differenza fra utile lordo e netto a causa dell’aumento della pressione fiscale. Un cambiamento delle regole quindi che peraltro arriva proprio in vista dell’esame Bce per il quale le banche italiane stanno affrontando una pesante ‘cura’ fatta di svalutazioni, pulizia di bilancio e aumenti di capitale.

La conferma
I tagli alla spesa del piano Cottarelli, rivisto e corretto a Palazzo Chigi, partiranno non solo dall’eliminazione degli enti inutili (il Cnel fra tutti, vero pallino di Renzi) ma anche e soprattutto dall’adozione di un tetto preciso – 238.000 euro – per gli stipendi dei manager pubblici. E non solo. “Il 10% della retribuzione la si prenderà solo se il Paese va bene, come le stock options nelle aziende. – ha insistito il premier – Non è possibile che un manager prenda un premio massimo se il paese va a rotoli. Da adesso inizia a
pagare chi non ha mai pagato”. Renzi si è poi spinto ancora più in là, esortando un allargamento dello stesso limite agli organi costituzionali – con un riferimento anche ai vertici amministrativi di Camera e Senato – che darebbero così prova di “coraggio, intelligenza e lungimiranza nel tornare in sintonia con il Paese”. Del resto chi fa politica deve dimostrare di volerlo fare “per spirito di servizio”, ha sottolineato ancora Renzi e non per i superstipendi.

La Sanità
La spending non comporterà alcuna tagliola per la sanità, settore tradizionalmente tra i piu’ a rischio. Di tagli lineari non ce ne saranno, anzi la spesa sanitaria è destinata inevitabilmente a crescere con l’invecchiamento della popolazione. Quello che sarà necessario sarà invece un intervento sulle Regioni che finora hanno amministrato peggio la spesa, “picchiando duro se serve”. Coperture e misure specifiche verranno comunque dettagliate nel prossimo apposito decreto annunciato per venerdi’ prossimo, 18 aprile. Qualche giorno dopo rispetto al previsto perché prima sarà necessario portare il Def in Parlamento, con il passaggio fissato giovedi’ 17. “L’Italia ce la può fare. – ha concluso il premier – Non e’ vero il ritornello: non ce la faremo mai, siamo condannati al declino”.