Il kapò Schulz inciampa su spese e promozioni

di Pietro Romano

Nepotismo e possibile utilizzo a fini politici privati del budget di servizio. Sono le due gravi accuse che pendono sul capo di Martin Schulz, 58 anni, socialdemocratico tedesco, presidente del Parlamento europeo dal 2012, candidato socialista (e del Pd) alla guida della prossima Commissione europea. Diventato noto in Italia soprattutto per gli scontri con Silvio Berlusconi. Per Schulz – già alle prese con una corsa in salita dopo il risultato elettorale francese, che ha rilanciato il popolare lussemburghese Jean-Claude Juncker per la successione al portoghese José Manuel Durao Barroso – l’imminente “plenaria” dell’Assemblea di Bruxelles potrebbe trasformarsi in una Caporetto.

 

La scure del Parlamento

Il dibattito è fissato per domani, giovedì 3 aprile, e all’ordine del giorno pone l’analisi delle spese del Parlamento e delle altre istituzioni comunitarie relative al 2012. E’ una pratica annuale che in diverse occasioni si è trasformata in una vetrina per gli euroscettici o gli estremisti di ogni colore, che contestavano questa e quella spesa istituzionale, sommersi inevitabilmente da una valanga di voti contrari delle grandi famiglie politiche: i popolari, i socialisti, i liberaldemocratici. Ma il 3 aprile potrebbe segnare una svolta negli accordi non scritti, validi soprattutto tra popolari e socialisti, per governare le istituzioni europee e gestirne le casse, meno ricche di quanto si favoleggia, ma sempre appetibili.

Martedì 18 marzo è successo che la commissione europarlamentare per il controllo sui bilanci ha inviato al Parlamento Ue la raccomandazione di approvare le rendicontazioni per il 2012 di tutte le istituzioni europee . Ma con una velenosa postilla per quanto riguarda proprio il Parlamento: gli emendamenti – approvati dalla commissione stessa – presentati dalla europarlamentare conservatrice tedesca  Ingeborg Grassle.

 

La carica dei funzionari

Il primo di questi emendamenti sostiene che cinque (su 19) funzionari dello staff privato di Schulz sono stati destinati a incarichi di direttore generale o direttore del Parlamento di Bruxelles: “nomine politiche  – le ha definite Grassle – incompatibili con lo status di dipendente pubblico”.

Ai posti di direttore generale, un incarico che a inizio carriera rende già oltre 200mila euro l’anno più i consistenti benefici assicurati dalle istituzioni europee, sono stati destinati due funzionari di nazionalità tedesca e di fede socialista dichiarata: Markus Winkler (capo di gabinetto di Schulz, al suo fianco dal ’96) e il proprio vice Herwig Kaiser. Winkler – sostiene un secondo emendamento – sarebbe stato nominato direttore generale del dipartimento alla presidenza, una posizione in precedenza ricoperta dal vice segretario generale e a costo zero, creata proprio dalla riforma della burocrazia parlamentare targata Schulz.

 

La manna degli stipendi

Anche le tre posizioni minori sono, comunque, di tutto rispetto: garantiscono stipendi iniziali di 180mila euro. Un terzo emendamento chiede a Schulz di fare chiarezza sulle sue spese e soprattutto sulla separazione tra le spese necessarie all’incarico di presidente e quelle sostenute per la sua campagna elettorale.

Che cosa succederà domani è un mistero anche per i maggiori esperti delle istituzioni europee. Come si comporterà il gruppo dei socialisti e democratici? E i liberaldemocratici? E potranno i popolari compiere una inversione a 180 gradi rispetto al voto della commissione per mantenere la “pax bruxelloise”, alzando le azioni degli euroscettici e delle ali estreme della politica europea?

Ma il più imbarazzato è proprio Schulz. Alcuni parlamentari eurosocialisti hanno definito  gli emendamenti di Ingeborg Grassle “una speculazione politica” e chiesto che vengano definiti “inammissibili”. Ma nel Parlamento europeo questa è una decisione che può prendere solo il presidente. Lo stesso Schulz, dunque. Aprendo, però, una prevedibile e pericolosa querelle sul suo conflitto d’interesse.