Le Lettere

Il lascito del ‘68

Sappiamo i danni che ha combinato il ’68. Diciamolo: l’attuale classe politica, inetta e amorale, è figlia del ’68.
Walter Curzi
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Gentile lettore, non sono affatto d’accordo. Oggi va di moda denigrare il ’68 come se tutte le colpe del passato, presente e futuro fossero di quel moto di rinnovamento che si sviluppò in Occidente. Non tutto fu perfetto, non tutto fu ideale. Ma i danni non li ha provocati il ‘68, li ha provocati il “reflusso” che cominciò negli anni ‘70-’80, sulla scia delle politiche di Reagan e Thatcher, in seguito chiamate neoliberismo, tese alla superiorità del capitale sul fattore umano. Il ‘68 ebbe due forme: una di impronta marxista e l’altra di impronta pacifista (movimenti hippy e beatnik). In generale il ’68 portò nel mondo una vasta richiesta di pace, giustizia sociale, eguaglianza tra gli esseri umani e i popoli; contestò le guerre e in primis quella del Vietnam; mise in discussione il modello economico del capitalismo; spinse a una maggiore libertà dei costumi (la “rivoluzione sessuale”); instillò il seme della ribellione al potere; diede vita a impetuosi fenomeni artistici nella poesia, nella narrativa, nella musica, nel cinema, nelle arti visive, e avviò nuovi germi filosofici (su tutti ricorderei Marcuse e, in religione, la teologia della liberazione, più tardi spazzata via dal Papa reazionario Wojtyla). Che alcuni personaggi (ma certo non tutti), protagonisti del ‘68 in Italia, andassero in seguito a collocarsi dall’altra parte della barricata, non significa niente: furono fenomeni marginali. Il ’68 merita di essere ricordato per ciò che diede, non per ciò che tolse.