Il MinCulPop di Meloni tra nomine e flop

Tra nomine e flop, la virata sovranista con Meloni è servita: da Buttafuoco e Giuli ai fedelissimi in Rai.

Il MinCulPop di Meloni tra nomine e flop

Oramai ci siamo abituati quasi. Da quando è in carica il governo Meloni si è prodigato in ogni modo possibile per piazzare nei posti di comando culturale tutti uomini fidati. Almeno questo è quello che verrebbe da pensare analizzando una per una alcune delle nomine volute dall’esecutivo targato Giorgia Meloni e Gennaro Sangiuliano. Prendiamo il Maxxi, il Museo delle Arti del XXI Secolo. Appena insediato il governo, è stato nominato presidente Alessandro Giuli, giornalista e conduttore da sempre molto vicino alla Meloni e al suo entourage.

Pochi mesi dopo è toccato a un altro volto vicino al mondo di destra: Pierangelo Buttafuoco, che è stato nominato sempre dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano presidente della Biennale di Venezia, una delle fondazioni culturali più importanti d’Italia, con un’enorme visibilità anche all’estero. Ma restiamo in tema Sangiuliano. Non stupisce, di fatto, questa sua “tendenza”. Appena diventato ministro, ha ben pensato di chiamare nel suo staff, tra gli altri, Beatrice Venezi, autorevole direttrice d’orchestra ma anche donna vicina al mondo di destra dato che, tra le altre cose, suo padre è stato un importante dirigente di Forza Nuova. Non è un caso che, in occasione del concerto di Capodanno a Nizza dove partecipava proprio la Venezi, ci sono state ampie contestazioni da parte di associazioni antifasciste, con striscioni piuttosto eloquenti: “Niente fascisti all’opera, niente opera ai fascisti”. Immediata è arrivata la legittima solidarietà. Da parte di chi, in primis? Fratelli d’Italia, ovviamente.

Le nomine Meloni in Rai

C’è poi tutto il mondo Rai su cui inevitabilmente bisogna aprire una parentesi a parte. Dopo le nomine fortemente volute dalla Meloni con Roberto Sergio amministratore delegato e Giampiero Rossi direttore generale, non si contano i flop collezionati da Viale Mazzini. Alcuni programmi sono partiti e hanno già chiuso, altri ancora non chiudono semplicemente perché sarebbe una totale ammissione di colpa. Il caso più eclatante ed iconico, forse, riguarda Pino Insegno.

Avrebbe dovuto condurre, come noto, “L’eredità”. Ma dopo il flop de “Il mercante in fiera”, il timore era che il programma di access prima time, che fa da traino al Tg1, potesse subire un calo di ascolti, con ricadute negative sulla raccolta pubblicitaria. Ciononostante, Insegno ovviamente sarà ricondotto su altri programmi. Dunque tutto salvo. Esattamente com’è salva Nunzia De Girolamo che continua ad andare avanti con “Avanti popolo”, nonostante risultati deludenti e costi esorbitanti. Il problema non sono solo gli ascolti, mai decollati, ma anche le spese, dunque: 200mila euro a puntata, con la produzione esterna di Fremantle. Molto ma molto di più, rispetto a quanto si spendeva per “Cartabianca”.

Tutti fuori

A proposito di “Cartabianca”, altro tema sono stati i tanti e tanti addii per la Rai. Da Bianca Berlinuger a Fabio Fazio fino a Corrado Augias, tutti sono andati via dalla Rai targata Fratelli d’Italia. Il motivo? Una sorta di paura di censura preventiva, probabilmente. Il risultato, in ogni caso, è che ognuno di loro è stato accolto, come noto, su canali diversi da Viale Mazzini. E hanno costruito programmi fotocopia a quelli che avevano in Rai. Il risultato? Ascolti alti, in alcuni casi (vedi “Che tempo che fa”), da record. Con buona pace per Viale Mazzini. Che intanto si “gode” i suoi flop.