Il mondo che marcisce nei magazzini: le ricadute umanitarie dei tagli USAID

Scorte alimentari in decomposizione, farmaci HIV razionati, ospedali chiusi: la politica americana che moltiplica la morte.

Il mondo che marcisce nei magazzini: le ricadute umanitarie dei tagli USAID

C’è un campo profughi a Leopoli, in Ucraina, dove la fame ha ormai superato la paura delle bombe. Fino a poche settimane fa, mille pasti caldi al giorno sostenevano gli sfollati. Oggi ne restano trecento. Dal primo settembre, nemmeno quelli. È uno dei tanti effetti della decisione americana di tagliare, in un colpo solo, oltre il 90% dei finanziamenti all’USAID: sessanta miliardi di dollari evaporati in nome dell’“America First” e affidati a un ventottenne con trascorsi nel team di Elon Musk per smantellare l’agenzia. Una mano ideologica ha spento i frigoriferi nei centri nutrizionali, chiuso i rubinetti delle cliniche, lasciato marcire 66mila tonnellate di cibo in magazzini di Dubai, Djibouti e Houston.

Il cibo stoccato avrebbe potuto sfamare tutta Gaza per un mese e mezzo. Invece, sarà forse trasformato in mangime per animali. È il simbolo perfetto: una montagna di risorse accatastate e famiglie disperate dall’altra parte del mondo, divise da un abbandono voluto. I programmi nutrizionali finanziati da USAID coprivano circa metà del fabbisogno globale. Ora, in paesi come Nigeria, Bangladesh e Nepal, un milione di bambini non riceve più alimenti terapeutici. In almeno diciassette paesi, le scorte sono esaurite. Secondo l’UNICEF, 2,4 milioni di bambini gravemente malnutriti rischiano di morire entro fine anno.

HIV, farmaci finiti e morti programmate

Le cliniche chiudono. I medici restano soli. In Zambia, in una struttura che contava ventuno operatori sanitari, ne è rimasto uno: il dottor Oswell Sindaza. Serve 6.400 pazienti da solo. In Kenya, Sarah Thomas ha perso l’accesso agli antiretrovirali per sé e per i suoi figli. Kevin, undici anni, è morto di tubercolosi, una malattia facilmente curabile, se non fosse che la clinica ha chiuso. In Uganda, il piccolo Migande Andrew è morto a quattordici anni: i farmaci per l’HIV sono finiti. L’insegnante Mary, positiva anche lei, è deceduta poche settimane dopo.

Secondo l’OMS, otto paesi — tra cui Haiti, Kenya, Sud Sudan e Burkina Faso — esauriranno le scorte di farmaci salvavita entro l’estate. Lo stesso piano PEPFAR, che aveva salvato 26 milioni di vite dal 2003, è stato amputato. Il risultato, secondo il tracker dell’Università di Boston, potrebbe essere di 176.000 morti in più solo nel 2025, e fino a 16 milioni entro il 2040.

Donne incinte, bambini piccoli, nessuna assistenza

In Liberia, dove gli aiuti statunitensi costituivano oltre il 40% del bilancio sanitario, è stato sospeso un programma da oltre 100 milioni di dollari che garantiva cure gratuite per le donne incinte. In Etiopia, i centri medici nelle aree di conflitto hanno chiuso. In Afghanistan, dove l’OMS avverte che l’80% dei servizi sanitari potrebbe sparire, già a marzo erano stati chiusi 167 presidi.

Le stime sono drammatiche: 7,9 milioni di morti infantili e oltre mezzo milione di decessi materni aggiuntivi entro il 2040. A essere colpiti non sono settori “ideologici”, come ha provato a far credere la retorica ufficiale, ma le strutture fondamentali della sopravvivenza.

Istruzione cancellata, futuro bruciato

L’Afghanistan è l’esempio più brutale. I programmi scolastici comunitari gestiti da ONG e finanziati dagli Stati Uniti sono stati chiusi, lasciando fuori dalla scuola 300.000 bambini, molte delle quali ragazze già escluse dal sistema pubblico. In Nepal, una ragazza rischia ora un matrimonio precoce perché è stato sospeso il programma che la aiutava a superare gli esami. In Etiopia, la chiusura di un asilo ha costretto una madre single a rinunciare al lavoro.

I tagli hanno colpito i programmi a più alto rendimento: educazione, diritti delle donne, assistenza all’infanzia. Non sono tagli neutri. Sono un investimento nella miseria futura. Economicamente disastrosi, moralmente catastrofici.

Una strategia di disgregazione

I responsabili americani parlano di deroghe umanitarie “temporanee”, ma la realtà è fatta di magazzini pieni di cibo che marcisce mentre milioni soffrono la fame, e pazienti costretti a interrompere cure salvavita. Le organizzazioni sul campo parlano di “abbandono totale”. L’OMS ha definito la situazione un “bagno di sangue” per la sanità globale.

Le conseguenze non sono solo umanitarie. Il vuoto lasciato dagli Stati Uniti è già oggetto di conquista da parte di altre potenze. L’epidemia globale di carestie, malattie e instabilità non è l’effetto di un virus. È il frutto deliberato di un ordine esecutivo.