Il Movimento non è morto. La scissione non è realistica. Parla il vicecapogruppo M5S alla Camera, Ricciardi: “Serve una struttura riconosciuta democraticamente”

Onorevole Riccardo Ricciardi (M5S), dopo l’assemblea dei parlamentari del Movimento di giovedì, l’iter verso gli Stati generali si preannuncia un percorso lungo o, almeno, non immediato come alcuni tra voi auspicavano. La strada imboccata è quella giusta?
“Un percorso non è giusto se lungo o breve: deve avere i tempi necessari. Quando ristrutturi una casa, sai che lo fai oggi e magari ci rimetterai mano tra anni non tra mesi. Quindi non puoi fare piccoli aggiustamenti ma sostanziali cambiamenti. E per quelli ci vuole una discussione approfondita”.

Meglio un capo politico o una guida collegiale e perché?
“Il tema è che competenze ha l’organo decisore. Se un capo politico, o portavoce nazionale o coordinatore, ha contrappesi decisionali bilanciati può funzionare anche quello. Così come non funziona se non li ha. Allo stesso modo, una guida collegiale deve avere chi poi, a un certo punto, deve decidere. È il bilanciamento delle competenze il tema vero”.

Storicamente le Regionali non hanno mai regalato soddisfazioni al Movimento, ma è innegabile che i risultati dell’ultima tornata, soprattutto in alcuni territori, siano stata estremamente negativi. Più per colpa del capo politico o delle mancate alleanze che hanno spinto molti elettori M5S al voto disgiunto se non al voto utile?
“Ogni regione ha la sua peculiarità: in Veneto e in Campania ha pesato la percezione di come i governatori uscenti hanno gestito l’emergenza Covid: ribadisco, la percezione non necessariamente la sostanza. In Toscana e in Puglia, un bipolarismo che si è ricreato, anche mediaticamente, come accadde in Emilia Romagna. Pesa poi il fatto che la gente, a volte, dimentica che questo governo è sostenuto dal Movimento 5 Stelle e che la maggior parte dei risultati ottenuti dal Conte II sono proprio nostri. Quello è il grande problema”.

Poi c’è la questione Casaleggio-Di Battista, con lo scontro sull’utilizzo e la gestione di Rousseau da una parte e la contrarietà alle alleanze, in particolare con il Pd, dall’altra. È uno scontro ricomponibile o teme che la scissione sia più di una semplice ipotesi?
“Il tema Rousseau va affrontato sicuramente nelle sedi opportune. Non è più rimandabile. Sulla paventata scissione, non la vedo molto realistica come ipotesi. Sui giornali ho letto di tutto, quasi una cronaca di una morte annunciata del Movimento. Vedo molta vitalità invece: tante persone che stanno dando idee con varie proposte di organizzazione. Se il Movimento fosse morto, non ci sarebbe così tanto dibattito ma una fuga”.

Oltre alla riorganizzazione del contenitore M5S, c’è anche il tema dei contenuti. Su molte questioni non c’è comunanza di vedute all’interno dei 5 Stelle. Per esempio, su immigrazione e ius soli, due temi che Zingaretti ha indicato come prioritari, non c’è una posizione chiara e univoca nel Movimento. Eppure quella della governance sembra la priorità per molti big M5S. La leadership viene prima dei valori o, per dirla in gergo grillino, prima delle parole guerriere?
“Prima di tutto c’è bisogno non di leadership ma di struttura: coinvolgere gli attivisti nelle scelte per i loro territori e creare una filiera interna riconosciuta democraticamente. Sui temi noi in Parlamento ci lavoriamo tutti i giorni; una misura rivoluzionaria come l’ecobonus è la sintesi di nostri temi storici: impulso all’edilizia e al lavoro tramite ristrutturazione e recupero, efficientamento energetico, tutela dell’ambiente”.