Il nulla di Bruxelles costringe Renzi

di Lapo Mazzei

Pochi lo ricorderanno e ancora meno sono coloro che, anche solo per caso, lo hanno ascoltato. Ma nel 1933 il geniale e poliedrico artista napoletano Rodolfo Tonino, in arte Rodolfo De Angelis, cantava «Ma cos’è questa crisi», con tanto «di parapapà pà» d’accompagnamento. In quegli anni la Grande Crisi del ’29 attraversa l’oceano e raggiunge l’Europa, Italia compresa. I danni prodotti da quell’evento  sappiamo bene quali sono stati. Ecco, nel sentire e risentire gli interventi fatti a Bruxelles dal nostro presidente del Consiglio ci è tornato in mente quel motivetto degli anni Trenta che vanta innumerevoli imitazioni associate alle varie crisi che, ciclicamente, hanno investito l’Italia. Perché Matteo Renzi alla prima vera prova dei fatti ha giocato a smussare, a rassicurare gli alleati, a offrire la propria credibilità come fosse una fideiussione bancaria. «Garantisco io, va tutto bene, nonostante non sia stato eletto e abbia conquistato Palazzo Chigi con un mero gioco di potere e i conti siano tutt’altro che in ordine». Fra le cancellerie europee il dubbio di trovarsi di fronte a un gigante con i piedi d’argilla inizia a farsi strada. Da qui la necessità di affrontare il finale del  vertice europeo con un cambio di passo, in nome per conto di una realpolitk non solo necessaria ma  pressoché indispensabile. «Con la Ue né conflitti, né sudditanza. La posizione dell’Italia non è cambiata, siamo in linea di assoluta continuità con i governi che ci hanno preceduto. Dobbiamo fare del semestre italiano una grande occasione per l’Europa» dice il presidente del Consiglio durante la sua conferenza stampa a Bruxelles, da dove annuncia che il vertice europeo sull’occupazione si terrà a Torino e che sull’Ucraina è stato «firmato un importante accordo di associazione». Nonostante i buoni propositi il dubbio di fondo resta: cos’è cambiato rispetto al governo  guidato da Enrico Letta? Se lo stesso Renzi ammette di essere nel solco «dell’assoluta continuità» significa che non sbagliava l’ex premier ma era il Rottamatore a volere il suo posto. Materia quanto mai appassionante per i retroscenisti e dietrologi.

Tornando al presente, Renzi ha ribadito che il fulcro dell’azione dell’attuale esecutivo resta quello delle riforme: «Il punto centrale sono le riforme e nelle riforme il punto centrale sono i tempi delle riforme. Entro il mese di marzo – ha ribadito – ci sarà la presentazione del testo di legge di revisione del Senato, del Titolo V e del Cnel. Entro il mese di marzo saremo pronti». Un annuncio spot buono per rassicurare l’Europa più che un aggiornamento dell’agenda, dato che la legge elettorale – sino a ieri la priorità delle priorità – è già scivolata in secondo piano. Nel frattempo però, entro il mese di marzo, spiega Renzi, dovrà essere approvato il ddl Delrio sull’abolizione delle Province. Un altro bello scoglio sul cammino del governo. Data la cornice generale, Renzi si è impegnato a negare qualsiasi conflittualità con i vertici delle istituzioni europee dopo lo scontro con il presidente della Commissione José Manuel Barroso: «Spendiamo più per interessi sul debito che non sull’istruzione. Noi non siamo in competizione, noi siamo una parte fondamentale dell’Europa» ha spiegato. «Non veniamo qui a prendere ordini, si chiama commissione ma non è commissione d’esame. Si tratta di presenza del Paese». Dal versante interno intanto è il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ad aprire un nuovo fronte, sfatando il mito dell’ottima accoglienza della Merkel nei confronti di Renzi. Segno che la storia d’amore con gli industriali non è affatto iniziata. E nemmeno la sinistra radicale di Nichi Vendola è disposta a pagare le cambiali in bianco emesse da Renzi: «Lo dico con amicizia nei confronti di Matteo, ma le sue performance europee sembrano giochi di prestigio, perché è difficile immaginare che si possa trasformare il verso dell’Italia e del vecchio continente rimanendo prigionieri di quei vincoli, di quelle leggi dell’austerity, che hanno strangolato soprattutto l’Europa Meridionale è il momento di fare del semestre un’occasione di grande scommessa per l’Europa». Ma il presidente della Regione Puglia ritiene difficile che ciò possa avvenire se il premier abbraccia «contemporaneamente la Merkel che è il simbolo dell’Europa che ha imposto ricette di dimagrimento selvaggio dei diritti sociali, di sconvolgimento del welfare». È in fondo tutta realpolitik, anche se non fa che alimentare il fiume degli euroscettici che va ingrossandosi con l’avvicinarsi delle elezioni europee.