Il Pd di Milano blocca la cittadinanza onoraria ad Assange

A Milano i Verdi hanno proposto la cittadinanza onoraria ad Assange, il fondatore di Wikileaks che rischia 150 anni di carcere negli Usa.

Il Pd di Milano blocca la cittadinanza onoraria ad Assange

Per capire quanto Julian Assange faccia paura non solo agli Usa basta fare un giro nel Consiglio comunale di Milano, la città che sculetta sempre fiera della sua apertura e del suo modernismo, che si incaglia su un gesto meramente simbolico come la cittadinanza onoraria in favore del fondatore di Wikileaks. La consigliera dei Verdi Francesca Cucchiara presenta una mozione per conferirgliela e per esprimere contrarietà rispetto all’estradizione negli Usa decisa dal Regno Unito.

Per capire quanto Julian Assange faccia paura non solo agli Usa basta fare un giro nel Consiglio comunale di Milano

A guardarlo così sembra un gesto tanto semplice e sostanzialmente omeopatico, visto che non incide in nessun modo. C’è da scommettere che la Westminster Magistrates’ Court che ha ordinato lo scorso 20 aprile l’estradizione di Assange non si sarebbe certo fatta condizionare troppo dal Consiglio comunale di Milano.

Alla presentazione del documento il Pd si è opposto proponendo due emendamenti mica da poco: prima hanno chiesto di togliere la cittadinanza onoraria e poi hanno chiesto di togliere il riferimento di condanna all’estradizione.

La spaccatura della maggioranza (che vorrebbe essere il seme dell’alleanza da proporre su chiave nazionale) è avvenuta sotto gli occhi increduli dell’opposizione che si godeva lo spettacolo. Incredibilmente la maggioranza che si definisce progressista è riuscita a inchiodarsi su un uomo che dovrebbe rappresentare un simbolo della libertà.

Così poi è stato un gioco da ragazzi per Italia Viva spiegarci che Assange “ha messo a rischio la democrazia liberale” (liberale nel senso di “libera di uccidere civili in presunte guerre umanitarie”, evidentemente) e abbiamo potuto assistere alla lezione di etica di Daniele Nahum (del Partito Democratico) che ci informa che “spiattellare così documenti riservati non va bene” perché “confligge col diritto di uno Stato a secretare le cose che non vuole diffondere.

D’accordo, gli Stati Uniti hanno i loro limiti, ma non sono la Russia o la Cina”, spiega in Aula. Ma la paura del Pd è tutta nelle parole di Nahum quando dice che “dobbiamo stare attenti ai rapporti internazionali. Uno Stato democratico ne chiede l’estradizione, opporsi può creare problemi”.

Del resto ci sta: chi vuole fare politica (o qualsiasi altro mestieri) avendo cura di “non avere problemi” non può centrare nulla con un uomo che dello svelamento delle bugie dei potenti ha fatto la sua filosofia di vita. Del resto le rivelazioni di Wikileaks hanno provocato un’imbarazzante scena muta internazionale.

In Italia nessuno si è mai preso la briga di commentare il capillare controllo degli Usa nel nostro Paese, e le interferenze nelle decisioni del nostro governo. Ci si è dimenticati presto degli “Afghan War Logs” resi pubblici da Wikileaks che hanno mostrato il vero volto della “missione di pace” tra brutalità, violazioni dei diritti umani e centinaia di vittime civili mai dichiarate. Quai tutti hanno dimenticato le torture, crimini di guerra ed esecuzioni sommarie commesse dall’esercito americano e dagli alleati raccontate negli “Iraq War Logs”.

Ora quello che conta è punirne uno per educarne cento. Non mostrare solidarietà a Assange significa invitare i giornalisti a essere pungenti ma non troppo, informati ma non troppo, dedicarsi alle inchieste ma non troppo. Si dice in giro che i giornalisti sono i cani da guardia della democrazia ma molti vogliono dei giornalisti da passeggio. Se esagerano sono guai. Esattamente come i giullari 500 anni fa, che dovevano far ridere senza disturbare troppo il Re.