Il pesante fardello del regionalismo. Ecco la sciagurata eredità della riforma del Titolo V. Nel 2001 la Sinistra cambiò la Carta per disinnescare Bossi. Creando le premesse per un contenzioso infinito Stato-Regioni

La governatrice da poco eletta della Calabria, Jole Santelli (FI), in una sola notte passa da una posizione di assoluta contrarietà alla riapertura delle attività ad una opposta, con un’ordinanza che sancisce addirittura il via libera a bar, ristoranti e pizzerie ponendo un serio problema amministrativo al governo centrale. In questo modo elude il Dpcm Conte e provoca un mare di polemiche essendo i sindaci calabresi, in larga misura contrari. Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, ha contestato veementemente la decisione parlando di “illegittimità dell’ordinanza” e di possibili ricorsi al Tar. Anche altri sindaci di piccoli comuni, sia di centro-destra che centro-sinistra, si sono scagliati contro la riapertura con la sola eccezione del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. In ogni caso gli esercenti, più saggi della governatrice, hanno tenuto i negozi chiusi.

L’ordinanza della Santelli, peraltro avvenuta con modalità inusuali di notte, ha provocato una spaccatura trasversale sul fronte sia locale con i comuni sia nazionale con il governo centrale. E proprio questo segna in maniera inequivocabile il totale fallimento amministrativo del federalismo e della cosiddetta decentralizzazione. In Italia, negli anni, si è assistita ad una perniciosa rincorsa a delocalizzare il potere in parcelle sempre più piccole. Il risultato è un puzzle amministrativo in cui vi sono una serie di enti che spesso indipendentemente dal colore politico, sono in contrasto l’uno con l’altro a tutto danno del cittadino che non sa più a chi rivolgersi.

Il principale attrito, almeno finora, era stato sempre quello tra Stato centrale Regioni, ma l’ordinanza Santelli disegna un quadro diverso in cui la polemica si sposta anche a livello comunale. La madre di tutte le riforme sballate, in questo senso, fu quella che nel 2001 portò alla modifica del Titolo V della Costituzione assegnano molti poteri alle Regioni e tra essi anche quelle “concorrenti” che sono poi quelli che spesso bloccano tutto. Ci voleva questa emergenza pandemica per scoperchiare la insostenibilità di una situazione che da anni blocca l’Italia su tutto: dalla sanità all’energia, all’ambiente provocando inefficienze e ritardi.

È chiaro che in Italia il federalismo non funziona. Non siamo infatti uno Stato profondamente federale come lo sono gli Usa e non lo siamo come lo è la Germania con sue potenti “Regioni – Stato”. Non lo siamo perché l’Italia ha una storia unitaria e il Risorgimento sta lì a dimostrarlo. Nasciamo proprio per riunire non per dividere. E la destra, a partire da Giorgio Almirante, è sempre stata profondamente avversa al federalismo salvo poi cadere dell’anomalia Lega che con Umberto Bossi ha profondamente lacerato il tessuto istituzionale, ai limiti della secessione.

La necessità di limitare lo strapotere regionale era già avvertito prima quando, ad esempio, non si riusciva a proporre un piano energetico nazionale decente per colpa dei particolarismi locali, ora con la pandemia la contraddizione è ribadita: la sanità deve essere a totale carico dello Stato centrale perché quando c’è una guerra in corso non si possono ascoltare tre o quattro livelli decisionali concorrenti: occorrono decisioni, unitarie, rapide e mirate su l’intero territorio nazionale e in questa ottica il ministro degli Affari Regionali Boccia e il premier Conte sono stati chiari: i provvedimenti regionali non in linea con la politica centrale saranno impugnati.