Il Punto di Mauro Masi. Il boom inarrestabile della sharing economy

La sharing economy (l’economia della condivisione e dell’accesso) sta vivendo una crescita dirompente, forse inarrestabile

Accesso contro possesso. E’ difficile dire quale modello di business prevarrà in futuro, quello che è certo è che la “sharing economy” (l’economia della condivisione e dell’accesso) sta vivendo una crescita dirompente, forse inarrestabile. Secondo studi recentissimi del Politecnico di Milano negli ultimi cinque anni sono nate 195 start up che nel biennio 2015-2017 hanno ottenuto almeno un round di finanziamento, il tutto  con un importo complessivo di circa 4 miliardi di dollari;  26  sono le start up censite in Italia e hanno ricevuto 23 milioni di dollari.

La sharing economy in sé è un modello di business né nuovo né particolarmente innovativo: è Internet che la trasforma moltiplicandone in maniera esponenziale i numeri e la capillarità dei servizi. Per intenderci: la vecchia rete di B and B (Bed and Breakfast) può essere considerata l’antecedente di Airbnb (la piattaforma on line che consente di affittare camere e/o appartamenti) però quest’ultima in poco tempo è arrivata ad offrire un milione e mezzo di camere divenendo di gran lunga la più grande catena alberghiera del mondo, un fenomeno sociale oltre che economico, che sta rivoluzionando il settore delle case di vacanza e non solo. E che sta segnando una strada che, come detto,  attira moltissimi: infatti, al di là dei nomi più noti (la stessa Airbnb e Uber), si possono contare ad oggi oltre 131 piattaforme solo  per affittare una casa, 51 per acquistare beni usati, 59 per donazioni, 59 per scambi alla pari, 60 per prendere in prestito qualsiasi cosa e questi dati sono necessariamente incompleti perché in questo contesto nuove iniziative nascono e muoiono piuttosto velocemente.

Peraltro, secondo la rivista Forbes, “i redditi che fluiscono direttamente dalla sharing economy nei portafogli della gente sorpassano già  3,5 miliardi di dollari con un tasso di crescita che supera il 25% annuo”. Questo è un punto fondamentale: va detto infatti con chiarezza che  la sharing economy nel mondo della Rete nulla a che fare con la carità, con la beneficienza, con la  mutualità e il non profit ( tutti concetti un tempo collegati all’ “economia della condivisione”) : qui si sta parlando di imprese miliardarie, autentiche multinazionali che fanno profitti a palate e vogliono continuare a farli. E che beneficiano tanto quanto le mitiche Over the Top (le grandi aziende high tech che dominano la Rete) dei buchi nelle legislazioni sia nazionali che internazionali  nonché della libertà dai vincoli regolamentari garantita da Internet. Qualche esempio: per gestire un B e B ci vuole in tutti i Paesi d’Europa  una licenza, per affittare stanze o case su Airbnb non c’è sostanzialmente bisogno di nulla; e poi, gli autisti di Uber vanno considerati come dipendenti ( con tutto quello che ne consegue)?; i “baratti” sulle piattaforme di scambio “alla pari” sono soggetti all’imposta  sul  valore aggiunto? etc. Al di là di tutto questo, va comunque sottolineato che la sharing economy on line interpreta un bisogno oggi assai diffuso e cioè quello di moltiplicare i luoghi e gli attori che facilitano l’incontro diretto fra la domanda e l’offerta abbattendo i costi di intermediazione. Su questa strada, nonostante i mega guadagni e qualche “arroganza” di troppo dei gestori, il successo delle piattaforme di condivisione non potrà che essere assicurato e duraturo.