Qualche giorno fa, il blogger ed editorialista del New York Times, Ross Douthat ha pubblicato un pezzo che suonava più o meno così “ Resistiamo ad Internet”. Attenzione – ci dice l’autore – stiamo diventando schiavi della Rete, abbiamo toccato il fondo ed ora ci dobbiamo “de-Internettizzare”. E’ vero ( molto più modestamente io nel 2015 ho pubblicato per Class Editori un libretto dal titolo “Intenet ci rende più stupidi?”) ma, visto dove siamo arrivati, per farlo senza troppi traumi bisogna prima capire qual è la chiave del successo di Internet. A mio avviso, la chiave dello straordinario successo di Internet sta nella sua apertura (“Open Internet”), nella sua libertà (che, peraltro, è molto più presunta che reale) combinata con la possibilità che ognuno si senta una parte di un tutto e che in questo modo si illuda di contare qualcosa (i famosi 15 minuti di notorietà globale, cari a Andy Warhol). Se uno scrive un tweet al Presidente degli Stati Uniti, al Papa, o al suo idolo sportivo crede davvero che risponderà Donald Trump, Francesco o Leo Messi e risponderà proprio a lui. Non è così ma – e questo è il bello e l’arcano della Rete – non lo si può completamente escludere. E’ questa apparente libertà, o meglio questo sapore di apparente libertà e di democrazia diretta, che fa accettare a tanti di noi, pur potendo ben vedere la realtà, quello che la Rete è diventata oggi: al tempo stesso il “major driver” della crescita mondiale non solo economica ma anche un Far West dove comanda chi ha la pistola più potente o chi spara per primo. Nessuno è in grado di decidere delle regole condivise eppure la Rete vive di standard e gli standard sono fissati da poche grandi aziende, tutte americane, che non casualmente vengono ormai unanimemente indicate come le “Over the Top” (quelle “sopra a tutto”) e che sono divenute esse stesse le icone del nostro tempo (oltre ad essere le prime al mondo per capitalizzazione di Borsa): Google, Facebook, Twitter, Amazon, Apple, Microsoft. Gli standard che si sono affermati sulla Rete non prevedono la tutela dei diritti anzi su Internet appare regolarmente ciò che altrove sarebbe impossibile perché vietato per legge. In questo senso è paradigmatica la vicenda del diritto d’autore/copyright. Il diritto d’autore è, da ben prima di Internet, fonte di contrasti, polemiche, divisioni. Il boom del digitale e della Rete ha enfatizzato queste divisioni rendendole, se possibile, ancor più apodittiche. Scompare la differenza tra originale e copia e l’opera dell’ingegno messa online diventa un patrimonio di tutti e scompare, di conseguenza, il concetto dell’ “avente diritto” in quanto ideatore/creatore dell’opera. Al limite nessuno può vivere della propria creatività perché tutto è (o può essere) trovato gratis on line; quindi solo chi ha censo può dedicarsi all’arte, allo sviluppo delle idee configurando così un ulteriore paradosso di Internet: l’anarcoide free Internet favorisce una concezione aristocratica e oligarchica dell’arte e della creatività che richiama molto da vicino quello che accadeva nell’antica Roma dove solo i ricchi potevano dedicarsi alla politica in quanto il cursus honorum era rigorosamente privo di compensi, totalmente gratuito. Anche per questo ben venga la “de-Internizzazione” della nostra società, tenendo però presente che non va confusa la fisiologia con la patologia e che la Rete è, e resta nonostante tutto, la chiave della modernità.
Il Punto di Mauro Masi. Internet è allo stesso tempo il motore della crescita mondiale ma anche un Far West
Internet oggi è il “major driver” della crescita mondiale ma anche un Far West dove comanda chi ha la pistola più potente o chi spara per primo