Il Punto di Mauro Masi. Ora bisogna adeguare i brevetti alla tempistica di Internet

La notizia di questi giorni è che nell’ambito di quella che sembra essere la (s) vendita dell’ex colosso della preistoria della Rete Yahoo (travolto dalla concorrenza insostenibile di Google) sarà posto in asta anche un pacchetto di circa 3000 brevetti risalenti agli anni ‘90/2000. L’azienda punta a ricavarne fino ad 1 miliardo di dollari ma non  sarà facile perché mentre alcuni brevetti riguardano le tecnologie di base del business Yahoo (come la ricerca Web) alcuni altri sono tuttora in fase di valutazione all’ufficio brevetti USA ed altri ancora sono brevetti acquistati solo “per difendersi da altri brevetti” e dalle sempre più numerose cause che vengono accese dalle tante società create ad hoc solo per andare in giudizio.

Questo aspetto evidenzia un tema più generale di grande interesse: constatata la sempre crescente tendenza ad andare in giudizio sui temi più disparati connessi ai vari brevetti e constatato altresì il costo di tali cause (costo che secondo alcuni dati supererebbe addirittura, a livello di sistema, i benefici economici diretti derivanti dai brevetti) ci si deve chiedere se i brevetti rappresentano ancora uno stimolo all’innovazione, alle idee creative e non piuttosto ne siano un ostacolo.

L’idea di base del brevetto è quella di concedere un diritto esclusivo al titolare per un periodo di tempo limitato (di solito 20 anni) ed, in questo modo, proteggere le ragioni del titolare (che spesso ha sostenuto ingenti investimenti) insieme a quelle dell’innovazione perché comunque dopo il periodo previsto le nuove invenzioni divengono di “pubblico dominio”.

Questo sistema sembra essere entrato in crisi proprio nel settore dell’ICT; intanto perché il settore stesso è caratterizzato, per sua stessa natura, dalla possibilità di ottenere brevetti su progetti diversi solo per dettagli tecnici non sempre di immediata evidenza e poi, come si  è detto,  per la presenza di aziende che acquistano brevetti non tanto per realizzarli ma per utilizzarli per andare in causa contro altre aziende (di solito quelle di maggior successo) sperando di ottenere comunque un vantaggio di natura economica.

Da ciò il nascere di un contenzioso giudiziario sempre crescente che fa la gioia degli avvocati ma che rappresenta un oggettivo freno al mercato e all’innovazione.

Negli Stati Uniti è stata da poco varata una riforma del sistema brevettuale che però non sembra essere in grado di superare tutte le problematiche emerse.

Alcuni ambienti accademici, americani e non, hanno avanzato di nuovo una proposta già emersa qualche tempo fa: perché non pensare ad una durata diversa della protezione in relazione ai diversi prodotti e cioè più breve per i settori caratterizzati da più veloce innovazione come quello dei computer ed una protezione più lunga per i settori dove l’innovazione è più lenta e dispendiosa come ad esempio i farmaceutici.

E’ una idea che, a mio avviso, va approfondita con molta attenzione soprattutto perché, tra i molti vantaggi che potrebbe portare, ci sarebbe quello di adeguare l’orologio della protezione brevettuale alla tempistica della Rete.