Il Punto di Mauro Masi. Sui brevetti occorre pensare a una durata diversa della protezione in relazione alle nuove tecnologie

Sembra un autentico paradosso ma i due giganti dello smartphone e acerrimi nemici,  Apple e Samsung, sperano entrambi che l’Iphone X di Apple sarà un grande successo. Secondo un’analisi condotta da una società specializzata (Counterpoint Technology Market Research) nei 20 mesi successivi al lancio dell’Iphone X è ipotizzabile che Samsung ricaverà circa 4 miliardi di fatturato in più dalla produzione di componenti per l’Iphone rispetto a quelli che fattura per il proprio Galaxy S8. Questo perché, nonostante la feroce competizione sul mercato, le divisioni componentistiche del gruppo Samsung forniscono schermi, chips di memoria, batterie e  condensatori per l’Iphone più sofisticato sinora progettato e che Apple non produce in proprio. Le relazioni tra i due gruppi (che insieme contano per circa il 95% dei profitti nel settore degli smartphone), da sempre piuttosto conflittuali, sono peggiorate drammaticamente dal 2011 quando Apple citò in giudizio Samsung per varie violazioni di brevetti, Samsung controdenunciò Apple per violazione dei propri brevetti aprendo un contenzioso pesantissimo tuttora in corso nella sua causa principale negli Stati Uniti. Ma, come si vede, il mercato e soprattutto  la tecnologia sono più forti delle vicende processuali e ciò non può che  riaprire una riflessione sui meccanismi di fondo del sistema brevettuale.

Come noto, l’idea di base del brevetto è quella di concedere un diritto esclusivo al titolare per un periodo di tempo limitato (di solito 20 anni) ed, in questo modo, proteggere le ragioni del titolare (che spesso ha sostenuto ingenti investimenti) insieme a quelle dell’innovazione perché comunque dopo il periodo previsto le nuove invenzioni divengono di “pubblico dominio”. Questo sistema sembra essere entrato in crisi proprio nel settore dell’ICT; intanto perché il settore stesso è caratterizzato, per sua stessa natura, dalla possibilità di ottenere brevetti su progetti diversi solo per dettagli tecnici non sempre di immediata evidenza e poi, per la presenza di aziende che acquistano brevetti non tanto per realizzarli ma per utilizzarli per andare in causa contro altre aziende (di solito quelle di maggior successo) sperando di ottenere comunque un vantaggio di natura economica. Da ciò il nascere di un contenzioso giudiziario sempre crescente che fa la gioia degli avvocati ma che rappresenta un oggettivo freno al mercato e all’innovazione. Alcuni ambienti accademici, americani e non, hanno avanzato di nuovo una proposta già emersa qualche tempo fa: perché non pensare ad una durata diversa della protezione in relazione ai diversi prodotti e cioè più breve per i settori caratterizzati da più veloce innovazione come quello degli smartphone ed una protezione più lunga per i settori dove l’innovazione è più lenta e dispendiosa come ad esempio i farmaceutici. E’ una idea che, a mio avviso, va approfondita con molta attenzione soprattutto perché, tra i molti vantaggi che potrebbe portare, ci sarebbe quello di adeguare gli schemi  della protezione brevettuale alla tempistica della Rete e agli sviluppi della tecnologia che, come visto, vanno molto più veloce dei Tribunali e dei Consigli di Amministrazione.