di Fausto Cirillo
Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto “Milleproroghe”, soluzione con cui il governo ha cercato di rimediare allo stop obbligato del decreto “Salva Roma”, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano leva la sua voce invocando «massimo rigore» per quanto riguarda l’ammissibilità degli emendamenti ai decreti legge nel corso del loro passaggio in Parlamento. E per farlo invia un messaggio ai presidenti della Camere e per conoscenza al premier Enrico Letta, nel quale afferma che «le modalità di svolgimento dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto legge 31 ottobre 2013, n. 126 recante misure finanziarie urgenti in favore di Regioni ed Enti locali ed interventi localizzati nel territorio – nel corso del quale sono stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi – mi inducono a riproporre alla vostra attenzione la necessità di verificare con il massimo rigore l’ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione». Il Capo dello Stato ricorda i suoi ripetuti richiami alla necessità di attenersi scrupolosamente alle caratteristiche e ai contenuti della decretazione d’urgenza e ricorda come questo principio sia stato ribadito da diverse sentenze della Consulta. «L’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alle finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere e i provvedimenti provvisori con forza di legge, valutazione fatta sotto la propria responsabilità e sottoposta a giudizio del capo dello Stato in sede di emanazione». Napolitano ricorda che la Corte ha affermato che «la necessaria omogeneità del decreto legge deve essere osservata anche dalla legge di conversione, riservandosi la facoltà di annullare le disposizioni introdotte dal Parlamento in violazione dei suindicati criteri».
Atto di contrizione di Pd e Ncd
La ramanzina al Parlamento – puntuale e severa, sia pure espressa con toni paludati all’insegna dello «spirito di collaborazione istituzionale» – è stata accolta di buon grado solo da esponenti della maggioranza. Questo monito «è sacrosanto e merita l’ascolto più ragionato da parte dei gruppi parlamentari. Esso riguarda la decretazione d’urgenza ma non può non investire anche quello speciale percorso legislativo che è rappresentato dalla sessione di bilancio» ha dichiarato il capogruppo di Ncd al Senato Maurizio Sacconi.: «Il richiamo del presidente Napolitano è da condividere dalla prima all’ultima parola» ha osservato il suo collega del Pd Luigi Zanda, promettendo che i senatori democrat «terranno nel massimo conto le indicazioni del Presidente a cominciare da un sempre maggiore rigore nella presentazione dei propri emendamenti». Ben altra musica hanno suonato le opposizioni: Lega e 5 Stelle hanno continuato a evocare la messa in stato di accusa del presidente mentre Forza Italia – per bocca di Daniela Santanché – ha denunciato parlato «l’ingerenza ormai diventata insopportabile» del capo dello Stato. «Egli cerca in tutti i modi di tenere in piedi questo governo sostenuto da una maggioranza che non è quella voluta dal popolo. Semplificandone le procedure, Napolitano vuole rendere semplice e agevole la vita per il governo, ma sempre più difficile e pesante quella di cittadini italiani che si trovano solamente più tasse e più disoccupazione». Nel pomeriggio ha poi raccolto numerose adesioni l’iniziativa del forzista Giuseppe Moles lanciata su Facebook: «Il 31 dicembre spegni il presidente e manda in onda il tricolore». Una protesta inedita che ha subito fatto proseliti nelle fila del partito: «Mi sembra un’idea molto buona. Infatti lo valuto il primo responsabile dei nostri disastri e a questo punto anche una specie di usurpatore» (Maurizio Bianconi); «Spegnere la Tv mentre Napolitano recita il suo messaggio e mettere il Tricolore alla finestra è il vero messaggio a Napolitano per fargli capire quanto è di parte» (Augusto Minzolini); «Appare francamente abnorme che si dia ormai per scontato il fatto che il capo dello Stato detti quotidianamente la linea ed è ormai evidente che tanti italiani non si sentano rappresentati» (Daniele Capezzone). Pensieri e parole che disturbano, e non poco, il Colle.