Il rischio terrorismo cresce. Ma la legge anti-jihad aspetta. Sparita dai radar la norma contro i nostri foreign fighters

Il rischio terrorismo cresce. Ma la legge anti-jihad aspetta. Sparita dai radar la norma contro i nostri foreign fighters

di Stefano Iannaccone

L’Italia indossa elmetto e stivali. Pronta a una missione ‘speciale’ in Libia, con la motivazione di combattere l’Isis. Ma l’azione rischia di essere un azzardo: sul fronte interno poco o nulla è stato fatto per garantire la sicurezza. E i foreign figthers potrebbero trovare terreno fertile a causa della mancanza di politiche di contrasto. La legge per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista è infatti ferma alla Camera. Non basta neppure l’appoggio trasversale alla proposta avanzata dai deputati Stefano Dambruoso (Scelta civica) e Andrea Manciulli (Partito democratico), sottoscritta da oltre trenta parlamentari. E cresce la minaccia anche rispetto a quanto raccontato da La Notizia sull’impegno italiano nello scenario libico. “Il disegno di legge è complementare al decreto anti-terrorismo, che è più concentrato sulle misure di repressione del fenomeno jihadista”, puntualizza Manciulli, che ricopre anche l’incarico di capo della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato. “Per questo – spiega – è necessario un intervento contro la marginalizzazione delle persone più esposte ai messaggi dei reclutatori”. Resta il fatto che il governo, nonostante le promesse, non abbia dato segnali di vita sulla questione.

PRIMO VIA LIBERA – Eppure già a giugno 2015, molto prima degli attentati di Parigi del 13 novembre, Palazzo Chigi aveva recepito una mozione scritta da Dambruoso. Il via libera alla Camera era arrivato a larghissima maggioranza. Qual era l’obiettivo? Una strategia nazionale di contro-l’estremismo mediante la formazione di operatori qualificati. Cercando anche di de-radicalizzare “i foreign fighters di ritorno”. Gli stessi principi presenti nella norma depositata a Montecitorio a gennaio 2016. La proposta fissa degli obiettivi chiari: attraverso il Sistema informativo sui fenomeni di radicalismo jihadista vengono individuati i soggetti “a rischio” radicalizzazione. E di conseguenza vengono predisposte misure di inclusione sociale con lo scopo di sottrarli a condizione di disagio.

NEL PANTANO – La strategia di Dambruoso e Manciulli si sofferma su tre punti cardini: scuola, lavoro e comunicazione, con la creazione di un portale informativo ad hoc. Ma anche con un progetto di lavoro nelle carceri per consentire il reinserimento dei condannati per la vicinanza alla galassia terroristica. Il testo è stato assegnato alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio. “Questo è un problema ulteriore, perché si tratta di una commissione già ricca di lavoro”, spiegano fonti parlamentari. Di fatto le altre commissioni interessate, in particolare Difesa e Cultura, potranno fornire dei pareri. Una procedura che rischia di allungare ulteriormente i tempi. E l’unica certezza è che al momento non c’è stata una calendarizzazione. Certo da Forza Italia è maturata una presa di distanza. “Molti dei terroristi sono occidentali che si sono uniti al terrorismo islamico ed erano persone perfettamente integrate nella società. Quindi, va bene la cultura, ma quale cultura?”, ha scandito la deputata Jole Santelli. D’altra parte da Sinistra italiana è giunta un’apertura al confronto. “Abbiamo già condiviso la mozione di Dambruoso. Valuteremo con attenzione la proposta di legge. Non ci tiriamo indietro di fronte alla necessità di garantire maggiore sicurezza attraverso un impegno sociale”, afferma il deputato di Si, Erasmo Palazzotto. Ma l’opposizione mette anche dei paletti: “Abbiamo più volte denunciato il rischio che nel tentativo di contrastare il terrorismo si possano limitare le libertà, sul modello di quanto sta avvenendo il Francia”.

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