Il saluto del Capo dello Stato. Applausi: dopo nove anni il Paese è peggiorato. Ci consegnò alla Troika, non lo rimpiangeremo

Sarà la storia a dirci se Giorgio Napolitano è stato quel grande Presidente della Repubblica a cui fino a ieri Matteo Renzi ha chiesto al Parlamento europeo di tributare un applauso. La sua personalissima riscrittura della Costituzione – a tal punto da far parlare di due distinte Carte, una materiale e una sostanziale – ha trasformato la figura di garanzia del Capo dello Stato da arbitro in player delle vicende politiche italiane.

GARANTE DEI MERCATI
La sua decisione di nominare Mario Monti senatore a vita e il giorno dopo imporlo a Palazzo Chigi, stravolgendo il mandato conferito dagli elettori al Centrodestra, può essere letto come l’unica possibilità per difendere il Paese in quel momento dall’attacco dei mercati. Oppure, come un vero colpo di mano ai danni di una parte politica. Di sicuro, in quella circostanza il Quirinale sostanzialmente ammise che il popolo italiano aveva perso la sua sovranità consegnandola alla Troika e a quei mercati che stavano speculando su di noi. In altri tempi si sarebbe parlato di Alto tradimento. Vennero poi le elezioni del 2013, che non consentivano minimamente la governabilità necessaria per far ripartire l’economia e il Paese. Proprio Napolitano ne fu il più avvantaggiato, ricevendone un nuovo mandato sul Colle e da li scegliendo per ben due volte il premier che più lo aggradava: prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi.

BILANCIO
Il parlamento relegato a fare da notaio, troppo impaurito di essere sciolto e di dover andare a casa, ha sostenuto i due esecutivi ma senza consentire mai quella ampia agibilità politica indispensabile per realizzare presto e bene le grandi riforme che ci servono. Certo, Renzi ha fatto passi che in altri tempi sarebbe stato difficile solo immaginare, ma se Napolitano avesse acconsentito ad andare a votare, con qualunque legge elettorale fossimo andati alle urne oggi lo stesso premier sarebbe a capo di un esecutivo molto meglio sostenuto dal Parlamento e dunque matematicamente più veloce nel realizzare quelle stesse riforme invocate da Re Giorgio. Riforme che in nove anni di Quirinale non si sono fatte. E già questo basterebbe per dare un giudizio su questo Presidente. Se poi guardiamo all’Italia, a com’era nove anni fa e a com’è adesso, sotto il profilo morale, economico e sociale, il bilancio è tutt’altro che positivo. È chiaro: non è il Quirinale che doveva fare tutto da solo, ma da quella altezza guardare ogni tanto giù di sotto e agire – non limitandosi a moniti generici – sarebbe servito. Ma anche di questo non abbiamo visto traccia.