Il Senato vuole i soldi dal Cavaliere

di Vittorio Pezzuto

La notizia è arrivata in serata, scuotendo il Palazzo e spaccando per l’ennesima volta la politica sul nome di Silvio Berlusconi. Con una decisione senza precedenti, il presidente Pietro Grasso ha infatti deciso la costituzione di parte civile del Senato al processo per la presunta compravendita dei parlamentari tra il 2006 e il 2008 che il prossimo 11 febbraio si apre a Napoli e che vede sul banco degli accusati proprio l’ex presidente del Consiglio. Una presa di posizione politica dirompente perché ribalta a sorpresa la decisione presa poche ore prima a maggioranza (10 voti a 8) dal Consiglio di presidenza di Palazzo Madama e che faceva già speculare gli osservatori sui voti determinanti espressi da Linda Lanzillotta (Scelta Civica) e da Antonio De Poli (Popolari per l’Italia). Esercitando una prerogativa prevista dal regolamento, Grasso ha invece deciso di capovolgere quel giudizio, ritenendo – così recita un comunicato ufficiale – che «l’identificazione, prima da parte del Pubblico Ministero poi del Giudice, del Senato della Repubblica italiana quale ‘persona offesa’ di fatti asseritamente avvenuti all’interno del Senato e comunque relativi alla dignità dell’Istituzione, ponga un ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità, in base alle regole processuali e seguendo il naturale andamento del dibattimento».

Reazioni a caldo
Il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda si è subito complimento col suo compagno di partito (l’ex procuratore generale antimafia è stato eletto senatore nelle liste del Pd) «per una decisione presa a difesa, innanzitutto, delle istituzioni democratiche» e non ha perso l’occasione per sottolineare come, davanti alla difesa della democrazia, risultano ancor più ingiustificati gli assurdi attacchi di alcuni esponenti di Forza Italia».

Dal fronte berlusconiano arrivano ovviamente reazioni di segno opposto. «Avevamo riposto male le nostre speranze» osserva il capogruppo alla Camera Renato Brunetta. «Nella scelta del presidente Grasso si percepisce la forza irresistibile di un richiamo della foresta. Così ha obbedito alla sua vecchia appartenenza all’ordine giudiziario fattosi onnipotente, tradendo il dovere di alta rappresentanza della sovranità popolare che la seconda carica dello Stato dovrebbe manifestare nelle sue scelte». In questo modo «recita l’ennesima parte incivile nella tragedia del colpo di Stato consumato in Parlamento con l’estromissione del leader dei moderati». E col passare dei minuti i take di agenzia registrano i duri giudizi espressi da altri esponenti di primo piano di Forza Italia contro la seconda carica dello Stato, a suo tempo già aspramente criticata per non aver consentito il voto segreto in aula sulla decadenza del senatore Berlusconi: «La sua mentalità e quindi i suoi comportamenti sono rimasti quelli dell’inquisitore, del procuratore che vuole mettere in scacco la politica rifuggendo dal rispetto della principale regola cui dovrebbe attenersi un politico: il buonsenso» (Altero Matteoli); «La sua decisione è istituzionalmente sconcertante, politicamente gravissima, e moralmente discutibile» (Anna Maria Bernini); «Essa è un precedente che deve allarmare tutti i garantisti» (Mariastella Gelmini); «Si dimetta. Diversamente la nostra democrazia è a rischio» (Elisabetta Alberti Casellati); «Si è autodelegittimato. Se, come dicono molti, questa è una mossa per ottenere i voti del M5S per il Quirinale, è un’ulteriore aggravante. La decisione di oggi compromette una istituzione democratica» (Lucio Malan).

In effetti alla notizia i pentastellati hanno esultato come nemmeno i tifosi a un gol in trasferta contro la prima in classifica. «Il Presidente Grasso – recitava un comunicato del gruppo M5s del Senato – ha di fatto scelto di tutelare prima il decoro delle istituzioni rispetto agli interessi dei partiti, rispettando nel contempo l’indicazione delle minoranze e incarnando alla perfezione i principi che devono ispirare un ruolo nobile e centrale per il buon funzionamento della democrazia come quello che gli è stato affidato». Sarà pure, ma dopo la Camera adesso ribolle pure il Senato.