Il silenzio

di Gaetano Pedullà

Ci avevamo sperato fino all’ultimo. Il sottosegretario Antonio Gentile non doveva dimettersi. Se è vero che abbiamo finalmente un Governo così forte, innovativo e riformista da riuscire nell’opera titanica di cambiare il Paese, mandarlo a casa senza rimpianti doveva essere un gioco da ragazzi per il premier e le forze che lo sostengono. E invece nulla. Giorni di polemiche, di difesa dell’indifendibile, di avvertimenti più o meno velati sulla tenuta della coalizione: da Renzi neppure una parola. È bastato che un partito con due voti come il Nuovo Centrodestra (vedrete alle Europee) facesse un po’ di muro e il Rottamatore si è subito smontato. Gentile – che non è indagato e dunque non deve rispondere di alcun reato penale – ha però una responsabilità morale persino più grande verso il Paese. Le pressioni per bloccare in topografia un quotidiano calabrese che stava per pubblicare le vicende giudiziarie del figlio danno lo spaccato di un sistema di potere omertoso sicuramente incompatibile con uno Stato trasparente e rigoroso. Per questo la vicenda è durata molto più di quanto avrebbe dovuto. E la resa di Gentile (nel giorno in cui un altro collega del suo stesso partito, Roberto Formigoni, finisce sotto processo per corruzione e associazione a delinquere) poteva essere l’occasione per far vedere che sul terreno dei diritti fondamentali (e la libertà di stampa è tra questi) il nuovo Governo non ha indugi. Esattamente il contrario di quello che invece ci ha mostrato. Intanto il tempo corre e il momento della verità è dietro l’angolo. Palazzo Chigi ha promesso a breve risorse e riforme pesanti per scuotere l’economia. Ma dove trovare i soldi resta ancora un mistero mentre per le riforme (se saranno vere) bisognerà sfidare forze di conservazione fortissime come sono Confindustria e Sindacati (altro che Gentile!). Se il buon giorno si vede dal mattino non c’è molto da star tranquilli.