Il tabù delle Regionali turba ancora il Movimento. Sui territori i grillini non sfondarono neppure alle elezioni vinte nel 2018. Va ripensata la logica delle alleanze

Le imminenti elezioni regionali, oltretutto in concomitanza referendaria, permettono di fare un’analisi politica più vasta e che riguarda anche la politica nazionale. Intanto le Regioni sono importanti per loro stesse, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione che ha dato loro molti poteri, forse troppi, come si è potuto constatare nell’attuale crisi pandemica in cui necessita uno Stato centrale forte, omogeneo nelle misure e autorevole.

La prossima tornata vede infatti i due principali alleati di governo nazionale, e cioè i Cinque Stelle e il Pd, in ordine sparso, tranne in Liguria in cui segnaliamo en passant la squallida strumentazione fatta dal candidato di centro destra Giovanni Toti sui “bambini in ginocchio” in una scuola di Genova, scelta che poi si è rivelata concordata con i genitori. Premesso che obiettivamente non si poteva realizzare in Campania una alleanza con Vincenzo De Luca resta il fatto che in Puglia, in Toscana e nelle Marche invece si poteva e non si è fatta. Ovviamente ogni Regione ha una storia a sé, una sua fisiologia politica che risponde anche ad una assiologia valoriale che tiene conto delle tante particolarità storiche e sociali del nostro Paese, ma ci sono Stati e Nazioni federali in cui i partiti di maggioranza nazionale sono poi stabilmente alleati anche a livello locale e questo ha un senso perché il cittadino fa poi difficoltà a ricomporre un quadro a mosaico e percepisce solo le inevitabili contraddizioni evidenti.

Il caso più eclatante è quello della Puglia dove il candidato del Partito democratico, l’attuale governatore Michele Emiliano, aveva dato chiara disponibilità di apertura ai Cinque Stelle arrivando a dichiarare di poter stilare insieme il programma, ma, nonostante questo, si è poi deciso di presentare una candidata, Antonella Laricchia, che, oltretutto, nei sondaggi riservati se la giocherebbe con gli altri due e cioè lo stesso Emiliano e Raffaele Fitto. Allora se Pd e M5S avessero unito le forze la vittoria sarebbe stata pressoché certa, ma così non è stato ed ora si offre una inaspettata opportunità al centrodestra.

E ricordiamo che i Cinque Stelle, per loro stessa natura, hanno sempre avuto notevoli difficoltà a livello regionale tanto è vero che nella trionfale vittoria alle politiche del 2018 andarono male in concomitanza nel Lazio e in Abruzzo, fatto altamente significativo del diverso comportamento dei suoi elettori. Poiché il dogma delle non alleanze è venuto meno da tempo sarebbe utile che da Roma e/o Milano si facesse sentire qualcuno per ricordare questi fatti e per non ripetere gli errori del passato. A tal proposito spesso si cita l’esperienza delle regionali perse in Umbria nel 2019 ma nell’analisi si dimentica che tale esperimento è stato seriamente inficiato dal fatto che il Partito democratico era reduce da un enorme scandalo sanitario che i suoi elettori gli hanno fatto pagare.

Mentre la successiva scelta di non correre in Emilia Romagna è stato sicuramente un errore visto che poi ha vinto il candidato dem, Stefano Bonaccini. Insomma, quello che emerge è che i vertici dei Cinque Stelle devono necessariamente elaborare una strategia di alleanza con il Pd a lungo termine se vogliono prendersi qualche regione e non offuscare i risultati nazionali con sconfitte regionali che sono un tabù da sfatare.