Di Gaetano Pedullà
Dovevamo uscire dal pantano e invece giorno dopo giorno ci stiamo rituffando dentro. La spinta riformista del governo Renzi si sta spegnendo e messi in cascina gli 80 euro e la trasformazione di Senato e Pubblica amministrazione (solo in prima lettura, un po’ poco, no?) si torna al vecchio teatrino della politica. Il vice premier vuole cancellare l’articolo 18 (divieto di licenziamento) e il premier lo smentisce (un totem, inutile discuterne). Se questo è l’anticipo di quello che vedremo da settembre, non c’è da stare allegri.
La maggioranza, con il sostegno di Berlusconi, potrà fare qualche passo avanti su Italicum e riforme costituzionali, ma scordiamoci che riesca a produrre quello shock che serve all’economia. Per non parlare della rottamazione delle vecchie regole, dei privilegi e delle lobby di potere. Renzi così rischia di disperdere velocemente il credito che gli italiani gli hanno dato e gli continuano ancora a dare. Il prezzo inevitabile con la crisi che avanza e presto una nuova manovra da varare.
Cosa aspetta allora il premier per tornare alle urne? Vuol davvero vivacchiare pur di restare in queste condizioni a Palazzo Chigi? Nelle chiacchierate riservate, in questi giorni i nostri parlamentari non parlano d’altro che di elezioni. E i più scommettono su un incidente d’aula subito dopo dicembre (fine della presidenza di turno dell’Ue), le veloci formalità di Napolitano e la chiamata alle urne in primavera (massimo a giugno). Una scadenza troppo vicina per fare le grandi riforme e troppo distante per chi deve sopravvivere alla crisi. Un’agonia davvero necessaria?