Impugnata la nomina di Prestipino. La Procura di Roma è azzoppata. I due pm superati al rush finale si sono rivolti al Tar. Nella Capitale mancava solo la guerra delle toghe

Sembra non esserci pace per la magistratura. Dopo veleni e dossier, torna in bilico la nomina del procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, su cui sono piovuti i ricorsi al Tar dei due candidati esclusi. Una mossa che era nell’aria da tempo perché il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, e quello della Repubblica del capoluogo toscano, Giuseppe Creazzo, sostengono di aver subito un torto dal Csm. Il primo invoca l’illegittimità del provvedimento con cui il 4 marzo scorso il Csm ha nominato Prestipino, dopo che in un primo momento la commissione incarichi direttivi aveva indicato proprio lui.

Una designazione saltata al foto finish con la deflagrazione dell’inchiesta da cui sono emersi, senza che Viola ne avesse colpa, i tentativi di far convergere su di lui i voti da parte della cricca del pm Luca Palamara. Creazzo, invece, ricorre sulla base del “testo unico della dirigenza” che sarebbe stato violato in quanto è stato scelto un candidato con meno titoli. Questo perché l’attuale procuratore capo di Roma era procuratore aggiunto, sia pure reggente, dopo il pensionamento di Pignatone mentre Creazzo è procuratore capo dal 2009. Proprio il nodo delle esperienze pregresse nella scelta dei candidati è spesso motivo di dibattito nel Csm.

IL PRECEDENTE. A ben vedere quanto sostiene l’attuale procuratore di Firenze non è dissimile da quanto accaduto pochi giorni fa quando alla guida della Procura di Perugia è stato scelto Raffaele Cantone. Una nomina per la quale il Consiglio si è spaccato in due con il fronte di Piercamillo Davigo che sosteneva il procuratore aggiunto di Salerno, Luca Masini, ritenuto “nettamente più titolato in base alla disciplina del Testo unico sulla dirigenza” rispetto all’ex presidente dell’Anac, “per aver svolto le funzioni requirenti quasi per il doppio degli anni e perché in possesso del criterio attitudinale specifico delle pregresse funzioni semidirettive”. Insomma una questione antica per la quale tutti, a parole, chiedono di intervenire con una riforma che limiti sia il meccanismo delle porte girevoli che la discrezionalità del Csm.

LA SCURE DEI PROVVEDIMENTI. Ma a turbare il mondo delle toghe sono soprattutto i possibili sviluppi del sistema Palamara. In queste ore sia la Procura generale della Cassazione che il Csm stanno vagliando la posizione di una ventina di magistrati finiti nelle chat dell’inchiesta di Perugia che, è bene ricordarlo, non sono penalmente rilevanti. Tra le conversazioni al centro delle valutazioni ci sono quelle che coinvolgono i magistrati Massimo Forciniti e Antonella Salvadori, compagna a sua volta del giudice Dodero Onelio. Proprio il nome di quest’ultimo diventa motivo di conversazione tra Forciniti e Palamara con il primo che chiede “non c’è marito della Salvadori?”, alludendo ad una possibile nomina, a cui Palamara risponde: “Cuneo”.

Una partita importante per la quale si interessa la Salvadori: “Ciao Luca, mi ha appena scritto Stefania Tassone dicendomi che Procura Vercelli è imminente e che lei ha espresso il suo parere. Ma ha parlato con te?”. “No”, risponde Palamara, “siamo rimasti di rinviare la trattazione in prossimità dei posti di Cuneo e di Alessandria”. Cosa che poi avviene tanto che il 7 giugno 2018 Palamara scrive alla Salvadori che “A breve votiamo Cuneo. Tutto ok!!” con la donna che ringrazia. Altra chat delicata è quella che coinvolge l’ex capo di gabinetto di Alfonso Bonafede, Fulvio Baldi, che in alcune intercettazioni chiedeva di sistemare una collega al ministero.