“In politica essere ‘figli di’ aiuta ma il nome Berlusconi non basta”

di Vittorio Pezzuto

I figli di Silvio Berlusconi sono avvisati. Se negli Stati Uniti i clan familiari (Kennedy, Bush, Clinton) hanno spesso svolto un ruolo di primo piano, in Italia l’opinione pubblica critica l’idea stessa di un approccio dinastico alle cariche politiche. E la controversa parabola istituzionale dei figli di Umberto Bossi e di Antonio Di Pietro fornisce più di un argomento a quanti in Forza Italia vedono con sospetto l’eventuale successione al comando del partito di un discendente diretto dell’ormai ex Cavaliere. Strano Paese il nostro. Si tollera che figli senza talento possano ereditare posizioni di rendita nelle libere professioni e (purtroppo) anche in quelle a stipendio pubblico ma si grida subito allo scandalo se a essere eletti sono i “figli di”, avvantaggiati da un cognome ben collaudato. È stato così anche nel caso del deputato regionale della Sicilia Toti Lombardo, rampollo del potente ex governatore Raffaele.
«So bene dove vuole arrivare…» ci dice l’interessato, spesso dileggiato con l’epiteto di “Trota del Sud”. «Certo, direi una grande bugia se sostenessi che un giovane come me poteva legittimamente aspirare a diventare consigliere regionale a soli 24 anni. Il cognome di mio padre è servito, lo riconosco. Ma a differenza di quanto è stato scritto, non mi sono candidato improvvisamente allo scopo di mantenere in famiglia il pacchetto di voti di mio padre. Io la politica ho iniziato a farla fin dagli anni del liceo classico, con amici liberali che si battevano per il diritto concreto allo studio nel nostro plesso decentrato. Da lì è nata una passione che non è mai stata eterodiretta. Tant’è vero che con mio padre, che all’epoca militava nell’Udc, ci siamo spesso scontrati su diversi temi. Insomma, la mia è stata una vocazione autonoma».
Per essere eletto si è comunque dovuto sottoporre alle forche caudine delle preferenze…
«Ne ho raccolte 9.633 e della campagna elettorale conservo un ricordo bellissimo. In quelle settimane non sono certo rimasto seduto ad aspettare il risultato».
Molti parlamentari nazionali lo hanno invece fatto, sapendo che sarebbero comunque stati eletti.
«Mi sembra che siamo tutti vittime di una grande ipocrisia. A parole tutti invocano le preferenze ma poi nessuno le vuole davvero. Il Parlamento dei nominati è il risultato di un deficit democratico stabilito per legge con il Porcellum e che adesso continuerà con l’Italicum. Scordiamoci quindi di assistere alla tanto annunciata rivoluzione della politica. Anche perché con la regola della multicandidatura in un massimo di 8 liste bloccate verrà meno per il cittadino anche la possibilità di sapere se quel tal candidato, una volta eletto, alla fine sceglierà davvero di essere il deputato della sua zona».
Si sta molto parlando di un’eventuale investitura alle europee di uno dei figli di Berlusconi.
«Sono ottimi professionisti che nei loro ambiti hanno conseguito grandi successi. Consigli a persone così in gamba davvero non mi sento di poterne dare. Però una considerazione sento comunque di farla».
Quale?
«L’attività politica può darti grandi soddisfazioni ma non lascia tempo per fare altro. Se si decide di mollare tutto e compiere un passo del genere occorre avere piena consapevolezza dei propri mezzi, nutrire la sincera ambizione di poter cambiare la società sulla scorta di radicate convinzioni ideali. Viceversa prestarsi a battaglie di mera rappresentanza, magari perché forti solo del proprio cognome, serve a ben poco. A se stessi e al proprio partito».
Fare il deputato regionale senza aver mai lavorato non è un handicap?
«So benissimo quanto aiuti l’avere svolto una professione prima di intraprendere la carriera politica. Ti forma come uomo e ti dà una marcia in più. Per quel che mi riguarda, mi mancano ormai pochi esami per conseguire la laurea in Giurisprudenza. Ma confesso che l’impegno nell’Assemblea regionale ha davvero sottratto moltissimo tempo ed energie allo studio. Qui si lavora sodo, altro che fare quattro chiacchiere e schiacciare qualche pulsante in aula. Certo, poi capisco le invidie dei coetanei e le critiche di chi mi accusa di non aver mai lavorato in vita mia. Li voglio rassicurare: mi auguro di poter intraprendere un giorno la mia professione. La politica non potrà e non dovrà essere sempre la mia sola occupazione».