Indagato per falsa testimonianza sul caso Cucchi, ottiene una bella promozione: l’ex maresciallo Mandolini, ora è maresciallo capo

Secondo l’accusa, Mandolini avrebbe mentito ai pm della prima inchiesta coprendo così il “violento pestaggio” perpetrato nei confronti di Stefano Cucchi.

Indagato per falsa tesimonianza sul caso Cucchi, ora godrà di una promozione da maresciallo a maresciallo capo. A rivelare quanto accaduto, in piena estate, a Roberto Mandolini è Il Fatto Quotidiano. Secondo l’accusa della Procura di Roma, Mandolini avrebbe mentito ai pm della prima inchiesta coprendo così il “violento pestaggio” perpetrato da tre uomini dell’Arma nei confronti di Stefano – e ora è promosso da maresciallo a maresciallo capo.

Ma nell’articolo, a firma di Calapà e D’Onghia, si ricorda anche un piccolo particolare non da poco. “I carabinieri hanno fatto il loro dovere, arrestarono un grande spacciatore”. Questa frase, datata 6 gennaio 2016, è una risposta proprio di Mandolini a un post di Ilaria Cucchi. Il maresciallo capo, nel 2009 era sottufficiale alla caserma Appia, da dove partirono i militari che fermarono Stefano Cucchi, in precedenza era stato vicecomandante a Tor Vergata: la sua carriera lo ha portato poi a comandare una squadra del Battaglione mobile Lazio, caserma Tor di Quinto.

Mandolini, che su Facebook prende posizione e scrive spesso in difesa dell’Arma, secondo l’accusa è caduto in contraddizione sulla perquisiziona domiciliare eseguita la notte dell’arresto a casa dei genitori di Stefano e sulle ragioni del mancato fotosegnalamento. Come è stato ricostruito dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro quella notte avrebbero operato in borghese. Ma, nessuno dei due, risulta ufficialmente nel verbale d’arresto.

Secondo la procedura, poi, Cucchi avrebbe dovuto essere fotosegnalato, Mandolini ha spiegato così in aula la variazione al protocollo: “Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi”. La procura ha rivelato in questa e in altre affermazioni di Mandolini contraddizioni con quanto ricostruito e, con tutta probabilità, a settembre saranno chiuse le indagini.