di Stefano Iannaccone
Il pasticcio sulla data del referendum No triv diventa ancora più grande. E rischia di costare il doppio agli italiani. Dopo il no del Governo all’election day con le Comunali, che avrebbe permesso un risparmio di 300 milioni di euro, potrebbe arrivare un secondo problema: la sentenza della Corte costituzionale sul ricorso presentato per altri due quesiti dalle Regioni che hanno promosso l’iniziativa. Il rischio è di far slittare la data della consultazione o, peggio, di farla raddoppiare. Così l’intero gruppo di Sinistra italiana (Si) alla Camera ha chiesto uno spostamento a giugno per prendere atto della decisione della Consulta senza grattacapi. Attuando quindi l’accorpamento, osteggiato da Palazzo Chigi. Al momento il giorno fissato resta il 17 aprile. Ma il pronunciamento della Consulta, atteso per domani, scuote le acque. “La responsabilità è del governo, che ha voluto accelerare sulla data del referendum per evitare di farlo svolgere insieme alle Amministrative, con lo scopo di complicare il raggiungimento del quorum”, dice a La Notizia, Alfonso Pecoraro Scanio, ex ministro e ora a capo della Fondazione Univerde in prima linea sulla questione.
ELECTION DAY – Lo scontro è in atto da settimane. Le Regioni avevano inizialmente depositato sei quesiti: tre sono decaduti, perché accolti con alcune modifiche inserite nella Legge di Stabilità. Un altro è stato accettato dalla Cassazione: riguarda la durata delle autorizzazioni per le esplorazioni dei giacimenti in mare già rilasciate, su cui dovranno votare gli italiani. L’obiettivo dei promotori è quello di evitare eventuali proroghe. Infine, ci sono due quesiti su cui il governo ha cercato di mettere una toppa con un intervento normativo, ma le Regioni hanno sollevato il “conflitto di attribuzione” alla Corte Costituzionale, ritenendo che l’esecutivo non avesse rispettato il senso dei quesiti. Le questioni attengono al “piano delle aree” – con il quale si definiva il ruolo degli enti locali nell’individuare le specificità di un territorio per le ricerche di petrolio – e le proroghe dei titoli, relative alla velocizzazione della concessione dei permessi. E qui entra in gioco la Consulta: se dovesse entrare nel merito della vicenda, si renderebbe necessario votare per un totale di tre quesiti. Per unirli sarebbe necessario far slittare il voto del 17 aprile, perché non sarebbero rispettati i 45 giorni di campagna elettorale richiesti dalla legge. In alternativa il referendum potrebbe sdoppiarsi: il primo quesito tra un mese e gli altri eventuali due nel 2017. Sperperando denaro. “Come è possibile che Renzi non voglia essere rigoroso sui costi della politica?”, si chiede il capogruppo alla Camera di Si, Arturo Scotto, rilanciando l’idea dell’election day. Che resta l’unico strumento per scongiurare sprechi e voti ripetuti. L’esecutivo non sembra disponibile a cambiare l’orientamento. La motivazione fornita dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è che esistono degli impedimenti tecnici. Ma le opposizioni sono scese sul piede di guerra. “La fretta e la furbizia questa volta non pagano”, scandisce Pippo Civati, deputato e leader del movimento Possibile.
COMUNICAZIONE – Sul tavolo viene posto anche un altro problema: l’informazione sulle reti Rai. “C’è un oscuramento mediatico vergognoso. Eppure in gioco c’è un’idea sul modello di sviluppo del Paese”, incalza Scotto. Per questo il suo partito ha sollecitato il governo a “favorire la massima informazione dei cittadini anche tramite il mezzo radiotelevisivo”. In questa condizione di forte incertezza, peraltro, Pecoraro Scanio prova a tenere la batta dritta: “Sulla data del voto c’è stata una evidente forzatura sul governo. Ma, indipendentemente da quello che dirà la Corte costituzionale, bisogna proseguire la nostra campagna elettorale sul referendum anti-trivelle. Altrimenti facciamo il gioco di Palazzo Chigi”.
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