Israele-Italia si gioca, stasera la sfida delle polemiche. E ora non raccontateci più che lo sport è neutrale

Israele-Italia si gioca nel silenzio delle istituzioni calcistiche: le regole FIFA valgono solo per chi non ha alleati potenti

Israele-Italia si gioca, stasera la sfida delle polemiche. E ora non raccontateci più che lo sport è neutrale

Quando questa sera la nazionale italiana scenderà in campo contro Israele, giocherà molto più di una partita. Nonostante le bombe su Gaza, i dossier delle Nazioni Unite e i comunicati di decine di federazioni internazionali, la UEFA e la FIFA continuano a garantire a Israele una partecipazione piena alle competizioni europee. Senza sanzioni. Senza sospensioni. E, soprattutto, senza imbarazzi.

La giustificazione ufficiale è sempre la stessa: «la politica non deve entrare nello sport». Un mantra ipocrita, già smentito decine di volte. Non si tratta di decidere se la partita si debba giocare. Si tratta di ammettere che ogni scelta – giocarla, non giocarla, protestare o tacere – è politica. E che, almeno, si smetta di raccontare la favola dell’imparzialità.

FIFA, sanzioni selettive

Negli ultimi decenni, la FIFA ha escluso nazionali per motivi politici, umanitari e amministrativi. Sudafrica, Jugoslavia, Russia, Nigeria, Zimbabwe, Pakistan, Congo: in tutti questi casi, l’organizzazione ha agito – spesso con estrema rapidità – per difendere valori come la non discriminazione, la pace o l’autonomia federale   .

Nel 1992, la Jugoslavia venne espulsa da UEFA Euro pochi giorni prima del torneo, in applicazione diretta della Risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza Onu. Nel 2022, la Russia fu sospesa da FIFA e UEFA quattro giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, in seguito al rifiuto pubblico di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca di affrontarla nei playoff. Anche la Bielorussia, pur non essendo formalmente sospesa, è costretta a giocare in campo neutro e a porte chiuse.

E Israele? Da ottobre 2023, il conflitto a Gaza ha provocato oltre 60.000 morti. Le denunce delle organizzazioni umanitarie si moltiplicano. La Palestinian Football Association ha documentato la distruzione di stadi, il bombardamento di infrastrutture sportive, l’impossibilità di circolare per gli atleti palestinesi e l’inclusione illegale di squadre di insediamenti in campionati israeliani. Sono elementi che violano direttamente gli statuti FIFA. Eppure, nessuna sospensione. Solo gare spostate in campo neutro «per motivi di sicurezza».

L’eccezione permanente di Israele

Per comprendere come sia possibile, occorre fare un passo indietro. Israele è stata fondata nel 1948 ed è entrata nella AFC (Confederazione calcistica asiatica) nel 1954. Ma nel 1974, su mozione del Kuwait e con l’appoggio di 17 federazioni, fu espulsa: troppe le rinunce di squadre arabe e musulmane a giocare contro di lei. Da allora, per 20 anni, ha vagato tra qualificazioni via Oceania, partite occasionali e tornei su invito.

Nel 1994, UEFA ha accolto Israele come membro a pieno titolo. La motivazione fu pratica: senza una confederazione di riferimento, Israele non poteva partecipare regolarmente alle competizioni. Non si trattò di una scelta valoriale, ma di un compromesso geopolitico. E tuttavia oggi quella scelta ha un peso.

Israele gioca in Europa non per “meriti” geografici o culturali, ma perché in Asia nessuno voleva affrontarla. Eppure, a differenza di quanto accaduto per la Russia nel 2022, nessuna federazione europea ha finora dichiarato formalmente di voler rifiutare la partita . È questo che UEFA usa come scudo per giustificare l’inazione.

Il campo da gioco è truccato

Nel 2022, il presidente UEFA Čeferin ammise che la sospensione della Russia fu il risultato di una «pressione politica fortissima». Sul caso Israele, invece, la pressione proviene da organizzazioni civili, da federazioni dell’Asia occidentale e da iniziative come BDS o “Red Card for Israel”. Tutti attori considerati poco influenti nel palazzo di Nyon.

La conseguenza è una politica a doppia velocità. La Russia è sospesa; Israele no. Le squadre palestinesi non possono allenarsi; quelle israeliane degli insediamenti partecipano ai campionati nazionali. L’apartheid sudafricano fu punito con trent’anni di esclusione; quello denunciato oggi da centinaia di giuristi e organizzazioni non produce alcuna reazione. Non serve condividere ogni singola accusa contro Israele per riconoscere l’evidenza: il principio della neutralità è usato come paravento, selettivamente. Si invoca per giustificare l’inazione quando Israele bombarda uno stadio; ma viene accantonato quando bisogna espellere qualcun altro in quattro giorni, come accadde con Mosca.

Questa sera, mentre l’Italia giocherà contro Israele, ognuno potrà fare le proprie scelte. Può voltarsi dall’altra parte. Può indignarsi. Può limitarsi a tifare. Ma nessuno dica che è solo sport. Perché non lo è. Non lo è mai stato. E allora che almeno si smetta di prendere in giro chi guarda. Giocate pure, ma abbiate il coraggio di dire che anche questa è politica.