Più si parla in modo inconcludente del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, più l’esercito israeliano (IDF), agli ordini del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, sembra aumentare l’intensità e la brutalità dei propri attacchi. Sono ore febbrili in Medio Oriente, dove Israele – complice lo stallo nei negoziati di pace – ha dato il via a quella che appare come una nuova escalation del conflitto, con una serie spaventosa di raid che hanno colpito l’enclave palestinese e anche lo Yemen.
È entrata nel vivo l’operazione “Carri di Gedeone”, con l’IDF che continua a martellare la Striscia, causando almeno 23 vittime. Quindici di queste sono state registrate nel nord dell’enclave, dove un missile ha colpito una casa sterminando due intere famiglie. Particolarmente critica la situazione a Khan Yunis, dove è in corso un vero e proprio assedio che – salvo colpi di scena – porterà presto a una nuova offensiva militare nella città. Secondo l’IDF, lì si trincerano ancora “numerosi terroristi di Hamas”.
Botta e risposta tra Israele e Onu sulla consegna degli aiuti umanitari
Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è anche la scandalosa gestione degli aiuti umanitari, che – oltre ad arrivare col contagocce – ha già causato un grave incidente, con annessa coda di polemiche. A Rafah, infatti, i pochi tir carichi di cibo sono stati presi d’assalto da migliaia di civili affamati. L’IDF avrebbe sparato “colpi in aria” per disperdere la folla, ma l’azione ha generato un fuggi fuggi generale in cui un civile ha perso la vita e altri 47 sono rimasti feriti.
Scene di ordinaria follia che hanno spinto la comunità internazionale a puntare il dito contro l’esercito israeliano, il quale ha negato di aver aperto il fuoco contro il centro di distribuzione degli aiuti, precisando di aver soltanto “effettuato spari di avvertimento nell’area esterna al complesso”. “La situazione è sotto controllo, le operazioni di distribuzione del cibo proseguiranno come pianificato e la sicurezza dell’IDF non è stata compromessa”, conclude la nota dell’esercito di Tel Aviv.
Una versione smentita con forza dalla portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Ravina Shamdasani, secondo cui le truppe israeliane hanno aperto il fuoco all’interno dell’area umanitaria e sono quindi da ritenersi responsabili dell’accaduto.
Yemen e Iran nel mirino
Nel frattempo, il Medio Oriente continua a tremare davanti alla nuova escalation voluta da Netanyahu. Oltre alla Striscia di Gaza, infatti, i raid hanno colpito – dopo giorni di apparente calma – anche lo Yemen, dove, secondo il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, è stato attaccato l’aeroporto internazionale di Sana’a. Un blitz in cui, riferisce Katz, è stato distrutto anche “l’ultimo aereo fin qui utilizzato” dai ribelli filo-iraniani, i quali hanno promesso vendetta per “questi attacchi illegali”.
Una spirale d’odio che rischia di allargarsi ulteriormente, dal momento che si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui Israele sarebbe pronto a colpire le strutture del programma nucleare iraniano. A sostenerlo è il New York Times, secondo cui alcuni funzionari dell’amministrazione Trump “temono che Netanyahu possa decidere di attaccare Teheran senza preavviso”.
Secondo il quotidiano americano, citando fonti di intelligence, Tel Aviv sarebbe in grado di “preparare un attacco in sole sette ore”, così da colpire l’Iran prima che gli Stati Uniti possano intervenire, come già accaduto nelle scorse settimane. Una mancanza di preavviso che metterebbe Washington con le spalle al muro: gli USA, sostiene l’articolo, si troverebbero “costretti a fornire assistenza” a Israele in caso di una rappresaglia da parte di Teheran.
Ma non è tutto. Le stesse fonti rivelano che alcuni funzionari israeliani avrebbero già riferito a Washington che l’attacco è inevitabile e potrebbe avvenire anche qualora si raggiungesse un accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. Minacce che non sembrano intimidire il regime degli ayatollah, che ha già fatto sapere che, in caso di attacco, la risposta sarà durissima.