La corsa alle rinnovabili si arresta all’improvviso. Nei primi dieci mesi del 2025 l’Italia installa 5,4 GW di nuova potenza rinnovabile, con un calo del 10% rispetto allo stesso periodo del 2024. Gli impianti sono il 27% in meno. I dati elaborati per il Forum QualEnergia mostrano un Paese che rallenta proprio quando avrebbe dovuto accelerare e mantenere quegli otto gigawatt l’anno necessari per avvicinarsi agli obiettivi europei. È una frenata che pesa più dei numeri: racconta un clima politico e amministrativo che ha perso direzione.
Il ritmo che si spezza
Il governo rivendica la «messa in ordine» della materia, ma i fatti restituiscono un quadro ingolfato. La sentenza del Tar Lazio che ha bocciato parti del decreto sulle aree idonee ha costretto l’esecutivo a rivedere la mappa dei territori. Intanto il nuovo decreto Energia restringe ancora i margini, autorizzando vincoli e fasce di rispetto che appaiono più come freni che come regole. Le Regioni oscillano tra ricorsi e richieste di chiarezza. Gli operatori attendono norme definitive per investire e nell’attesa rinviano.
Sullo sfondo ci sono i numeri del fabbisogno: per arrivare agli 80 GW di rinnovabili al 2030, l’Italia avrebbe dovuto essere oggi ben oltre il trenta per cento del percorso. Invece è ferma poco sotto il 29%. Dodici Regioni sono al di sotto della media nazionale; due non superano il quindici per cento. È una geografia disomogenea che rivela il peso dei conflitti tra governo centrale e territori, con una pianificazione che cambia di continuo e non permette programmazione né fiducia.
I nodi politici e le scelte mancate
Nel mezzo della transizione il governo ha alimentato una narrativa ambivalente: l’elogio pubblico delle rinnovabili accompagnato dalla difesa del gas e dal rilancio del nucleare. Una prospettiva che non ha portato maggiore chiarezza. Il decreto Agricoltura ha vietato il fotovoltaico a terra su gran parte dei suoli agricoli, senza distinguere tra aree produttive e terreni marginali. L’effetto è tangibile nelle procedure autorizzative, più complicate proprio mentre la domanda cresce.
Il taglio delle risorse del PNRR per le comunità energetiche – da 2,2 miliardi a poco meno di 800 milioni – ha fatto il resto. Nel momento in cui enti locali, scuole, famiglie e imprese presentavano richieste per oltre 1,4 miliardi, il governo ha ridotto i fondi. Il risultato è una fotografia chiara: dei 5 GW incentivabili entro il 2027 ne sono attivi poco più di 100 MW. Le comunità energetiche, che avrebbero potuto ridurre le bollette e rafforzare il tessuto sociale, procedono in un labirinto di norme e risorse insufficienti.
Sul piano amministrativo i segnali non sono migliori. Gli uffici regionali per le autorizzazioni sono sotto organico, la Commissione PNRR-PNIEC procede a velocità ridotta, i tempi di connessione alla rete restano lunghi. Nel complesso i processi sono talmente farraginosi da vanificare la crescita tecnologica: il fotovoltaico produce di più, gli accumuli aumentano, ma la rete non è pronta a integrare ciò che il Paese sarebbe già in grado di installare. A questo si aggiunge un ulteriore paradosso: mentre gli impianti domestici rallentano, le grandi aziende energetiche spostano investimenti all’estero, dove i quadri normativi sono più stabili.
Il rallentamento del 2025 è quindi un fatto politico prima ancora che tecnico. Dopo due anni di espansione, la traiettoria si appiattisce mentre l’Europa chiede di accelerare. La dipendenza dal gas resta elevata, i rischi di mancato raggiungimento degli obiettivi 2030 diventano concreti, e la filiera industriale che negli ultimi anni aveva ricominciato a crescere ora teme un nuovo stop.
In questa contraddizione vive la transizione italiana: un Paese che potrebbe correre ma sceglie un passo più lento, intrappolato tra vincoli che produce e obiettivi che continua a proclamare.