Italia nel baratro, anche Prodi se n’è accorto. Come si esce da questa situazione? Ecco come la pensano un grande politico della Prima Repubblica, un giovane imprenditore e un sociologo tra i più noti nel Paese

Italia nel baratro, anche Prodi se n'è accorto. Come si esce da questa situazione? Le ricette del politico, dell'imprenditore e del sociologo

Romano Prodi lancia l’allarme. Parla di un’Italia senza un progetto e una visione, evocando scenari cupi per il futuro del Paese. È davvero cosi? Lo abbiamo chiesto ad un politico, un imprenditore e uno studioso.

 

PAOLO CIRINO POMICINO POLITICO
PAOLO CIRINO POMICINO (POLITICO)

Parla Pomicino: “Politica senza una visione sul capitalismo finanziario”

“Condivido in pieno l’analisi di Prodi”. Il due volte ministro e deputato per sei legislature della Dc, Paolo Cirino Pomicino, non ha dubbi.

Prodi ha fotografato il Paese, ma come si è arrivati a questo punto?
La situazione attuale è figlia degli ultimi 10-15 anni, durante i quali c’è stato un vero e proprio saccheggio del Paese. L’Italia non ha più strumenti pubblici di mercato se si eccettuano Cassa depositi e prestiti da un lato e Poste dall’altro. E anche il risparmio, che era quasi una materia prima, in larga parte è stato ormai affidato alle Generali a trazione francese. Non abbiamo più banche pubbliche tranne quelle fallite dopo essere state privatizzate.

Prodi parla di criticità anche sul fronte della visione internazionale…
E anche in questo caso ha ragione. Non abbiamo né gli strumenti né una visione sull’Africa e sul Mediterraneo. Non abbiamo, più in generale, una visione sul capitalismo finanziario che è la vera grande sfida del terzo millennio.

Sarebbe a dire?
Non c’è una visione, neanche abborracciata, in ordine al privilegio di cui gode l’uso finanziario del capitale rispetto all’uso produttivo. L’uso produttivo, vuol dire produzione di beni, servizi e occupazione. L’uso finanziario del capitale  significa, al contrario, grandi ricchezze elitarie e povertà di massa. E nessuno riesce ad affrontare ma neppure ad avvertire questa grave anomalia. Concordo, quindi, con Prodi, ma al suo ragionamento aggiungo questo punto cruciale: una nuova disciplina dei mercati finanziari per contrastare l’egemonia del capitalismo finanziario che sta affannando l’economia reale con gravi ripercussioni sull’occupazione.

Sul fronte politico, il centrosinistra è in subbuglio. C’è chi indica la causa dei guai del Pd nel Rosatellum. Che ne pensa?
Una legge elettorale un po’ stupida, sebbene migliore del Consultellum che prevedeva diversi sistemi elettorali tra Camera e Senato. Non si capisce perché non si sia insistito, anche senza i 5 Stelle, sul sistema tedesco: con il proporzionale, in una Repubblica parlamentare, le alleanze si fanno dopo, nelle Camere, come accade in Germania, in Austria, in Spagna e in tutte le altre democrazie non presidenziali.

Però mi scusi, anche con questa legge elettorale le alleanze si possono fare dopo il voto…
Non c’è dubbio, ma allora non ha senso fare un terzo dei collegi uninominali e maggioritari obbligando alle coalizioni. In questo modo, come nel caso del centrosinistra, alcuni si legano in una coalizione, altri vanno in cerca disperatamente di un’altra coalizione. E il risultato è scontato: non vincerà nessuno. (a. pit.)

 

MARCO GAY CONFINDUSTRIA
MARCO GAY (IMPRENDITORE)

Parla Gay: “C’è un concorso di colpa. Ora puntiamo sui giovani”

Chi è il principale “colpevole” dell’assenza di un progetto futuro per l’Italia? “Sembrerà salomonico dirlo ma c’è un concorso di colpa, nessuno è scevro da responsabilità”, risponde Marco Gay, vicepresidente esecutivo di Digital Magics Spa (business incubator di startup e scaleup innovative quotato all’AIM di borsa italiana) ed ex presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, che concorda sostanzialmente con il Prodi-pensiero. “Per quanto riguarda lo sviluppo e il futuro dell’impresa – spiega Gay contattato da La Notizia – col piano Industria 4.0 finalmente c’è una visione. È indubbio però che il lavoro da fare resta moltissimo”.

Fatta questa premessa, secondo lei un fondamento le considerazioni dell’ex premier ce l’hanno o no?
Sì. Non mi sembra che nel dibattito politico, anche in vista delle prossime elezioni, si stia discutendo di come e dove si vuole portare l’Italia da qui al 2030.

Chi ha le principali responsabilità? La politica, le élite, il mondo dell’industria?
Se l’Italia si trova ad avere un altissimo debito pubblico e delle carenze infrastrutturali materiali e immateriali come le nostre, le responsabilità non possono essere solo di qualcuno. È un concorso di colpa.

Anche gli imprenditori c’hanno messo del loro?
Dappertutto c’è chi non ha fatto bene il proprio mestiere. Detto questo, bisognerebbe iniziare a trovare soluzioni invece di continuare a cercare i colpevoli.

Da dove bisognerebbe partire, per esempio, per cercare queste soluzioni?
Iniziamo a parlare più di economia reale e rimbocchiamoci le maniche per andare nel futuro, dove gli altri sono già.

E per fare questo salto in che direzione si dovrebbe andare?
Il salto di qualità lo si fa investendo sui giovani, sulla digitalizzazione e sulla cultura d’impresa. Cominciando a colmare il gap più vistoso.

Quale sarebbe?
Non possiamo essere il secondo Paese industriale d’Europa e il penultimo per digitalizzazione. Se si desse vita a un circolo virtuoso di questo tipo si creerebbe indubbiamente più benessere ed equità sociale per i cittadini.

Servirebbe più dialogo fra politica e mondo industriale?
Sarebbe necessario e auspicabile un confronto continuo tra i due mondi. Bisogna stare al passo con i tempi, non si possono fare operazioni spot che durano il tempo di una legislatura ma di medio-lungo periodo per effettuare cambiamenti strutturali e favorire la crescita. (gio. vel.)

 

DOMENICO DE MASI SOCIOLOGO
DOMENICO DE MASI (SOCIOLOGO)

Parla De Masi: “Sono spariti gli intellettuali. Per paura e opportunismo”

“Prodi ha ragione, anche se dispiace che se ne sia accorto solo ora. La principale responsabilità dell’assenza di una strategia futura però è degli intellettuali…”. Non usa mezzi termini Domenico De Masi per commentare le parole dell’ex premier, riportate ieri da Repubblica. Per il sociologo, docente emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, quindi, non tutto è imputabile alla politica: “Nel suo insieme, dall’Italia all’America fino alla Russia, la società postindustriale nella quale viviamo non ha una visione del domani perché mancano i modelli di riferimento”.

Ma il nostro Paese è messo meglio o peggio di altri?
Peggio, da noi c’è un disorientamento al quadrato. Seneca diceva che “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Noi siamo come quel marinaio.

Di chi sono le maggiori responsabilità?
Non tanto e non solo dei politici, ma degli intellettuali.

In che senso? Si spieghi.
I modelli di riferimento sui quali poggia una società sono teorizzati dagli intellettuali e realizzati dai politici. C’è un unico intellettuale, se così vogliamo definirlo, che oggi sta proponendo un modello preciso di società e con un certo successo.

Ovverosia?
Papa Francesco, ma è un modello che riguarda il mondo cattolico, non direttamente l’Italia, e che risale al Medioevo.

Perché gli intellettuali hanno smesso di fare il loro “mestiere”? Lei che risposta si è dato?
Per paura e opportunismo. Nella meta del ‘700 una quarantina di intellettuali tra i quali Voltaire, Diderot, d’Alembert dicevano e scrivevano che Dio non esiste e che bisognava passare a una Repubblica laica fondata sulla ragione e sul voto universale. Lo sostenevano senza alcun timore, anche a costo di finire in galera o di rimetterci la pelle, com’è successo ad alcuni di loro.

Oggi invece?
Nessuno di noi ha coraggio.  Chi di noi ha fatto un’ora di galera per i propri ideali? Nessuno, tranne qualche rara eccezione a causa della propria appartenenza a organizzazioni extraparlamentari. Siamo tutti finiti a fare gli opinionisti di televisioni ed editorialisti di giornali. Così non abbiamo dato un modello al Paese. Sarebbe davvero bello se finalmente un partito ci potesse dire che tipo di Italia vuole da qui al 2050, mettendo intorno a un tavolo tutti i migliori intellettuali e chiedendo loro di disegnare un progetto serio di società futura.

Sulla scena politica nessuno è in grado di farlo? Nemmeno il M5S?
Per ora non c’è nessuno. Il rapporto fra i partiti e gli intellettuali è inesistente, anche perché si beano del fatto di essere post-ideologici. Ma così non si va da nessuna parte. (gio. vel.)