La casa come diritto sociale (negato), ecco la nuova sfida del progressismo europeo

Prezzi fuori controllo, rendite in crescita e giovani esclusi: la casa torna il terreno decisivo per ricostruire una coalizione progressista

La casa come diritto sociale (negato), ecco la nuova sfida del progressismo europeo

In tutta Europa la casa è tornata a essere una faglia politica. Non solo perché i prezzi sono esplosi, ma perché l’abitare è diventato la linea di confine tra stabilità e precarietà, tra inclusione e rancore. La ricerca del Progressive Politics Research Network lo mostra con precisione: l’impennata di prezzi e affitti ha eroso il consenso del centrosinistra, un tempo custode dell’housing sociale, e ha spalancato varchi alla destra radicale. È una diagnosi che riguarda l’intero continente ma che in Italia assume una forma più netta: un Paese dove l’accesso alla casa si è trasformato nell’indicatore principale della disuguaglianza generazionale e territoriale.

Un’Europa che scivola sulla casa

Secondo i ricercatori europei, in due decenni i prezzi delle abitazioni sono aumentati del 50%, gli affitti di un ulteriore 25%, molto più dei salari. Nelle grandi città l’aumento dal 2015 al 2023 ha sfiorato un altro 50%. Per milioni di persone l’alloggio è diventato la prima causa di insicurezza e, come hanno mostrato le ultime elezioni europee, uno dei fattori decisivi del voto.

La casa, però, non è solo una spesa: è anche la principale fonte di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. L’Europa postbellica la considerava un diritto sociale; dagli anni Ottanta in poi è stata trasformata in un asset finanziario. Persino governi e amministrazioni di centrosinistra hanno contribuito alla deriva: dismissioni dell’edilizia popolare, deregolamentazione dei mutui, incentivi alla proprietà come unica via possibile. In diversi Paesi la costruzione di alloggi sociali ha rallentato proprio sotto amministrazioni socialdemocratiche.

Oggi quella frattura presenta il conto. Insegnanti, infermieri, lavoratori essenziali vengono espulsi dai centri urbani, mentre la destra estrema prova a trasformare la casa in una questione identitaria. Non propone soluzioni: propone narrazioni. L’abitare come “patrimonio nazionale”, come leva per distinguere i “meritevoli” dagli altri, per escludere chi non si adegua al modello familiare tradizionale. In Ungheria, Austria e Polonia la casa è già diventata strumento di politiche nativiste, non di welfare.

L’Italia tra emergenza e rimozione

Dentro questa crisi europea l’Italia è uno degli epicentri. L’edilizia residenziale pubblica copre appena il 3-5% della domanda reale, una delle quote più basse del continente. Nelle città metropolitane l’offerta a prezzi accessibili è crollata, mentre la stagnazione dei redditi rende impossibile per intere fasce di giovani e lavoratori anche solo immaginare un affitto stabile, figuriamoci un mutuo.

Roma, Milano, Bologna, Firenze mostrano lo stesso schema: affitti fuori scala, salari stabili, proprietà sempre più concentrate. Nei quartieri periferici cresce la morosità incolpevole, nei centri storici avanzano le trasformazioni orientate al turismo e alla rendita. L’Italia vive un paradosso che colpisce al cuore la narrativa progressista: un Paese dove la maggioranza possiede una casa, ma dove chi non la possiede è condannato a una precarietà permanente.

In più, la politica continua a muoversi per annunci: piani casa, bonus, promesse di rigenerazione. Manca una strategia nazionale che riconosca l’abitare come infrastruttura sociale. La casa resta incastrata tra emergenzialismo e rimozione.

Perché la casa deve tornare il baricentro del progressismo

La casa è un tema che contiene tutti gli altri: redistribuzione, sicurezza, mobilità sociale, diritti, democrazia urbana. È il punto in cui si vede se una società decide di includere o di lasciare indietro. Ed è anche il terreno su cui la sinistra può ritrovare un linguaggio comune europeo.

Gli studiosi lo ripetono: ricostruire un settore pubblico e non profit capace di offrire affitti stabili e accessibili permette di ricomporre una coalizione larga, dai giovani esclusi ai lavoratori dei servizi, fino ai ceti medi impoveriti. Ripensare i mutui per sottrarre la casa alla speculazione significa restituire stabilità dove oggi c’è solo incertezza.

In Italia sarebbe una svolta culturale prima ancora che politica. Rimettere la casa al centro significa parlare ai giovani bloccati in stanze condivise, alle famiglie sotto sfratto, ai lavoratori che non possono vivere dove lavorano. Significa riconoscere che non esiste cittadinanza piena senza un luogo stabile dove vivere.

Per i progressisti europei la casa non è un capitolo di programma. È l’architrave. È il primo mattone — reale, fisico, concreto — su cui può poggiare qualsiasi progetto politico che aspiri a essere credibile oggi.