La Casellati regala un altro flop. Gli atti di Ustica e Bologna restano secretati. Lite in Consiglio di presidenza a Palazzo Madama. A 40 anni dalle stragi le carte rimangono inaccessibili

Niente da fare. Si era ad un passo da un risultato storico alla vigilia dell’anniversario della strage di Ustica. E invece, a 40 anni da quella tremenda pagina nera della storia recente italiana, le carte finora tenute segrete e conservate nella biblioteca di Palazzo Madama, resteranno a prender polvere. Tutta colpa dell’ennesimo caos scoppiato in Consiglio di presidenza al Senato: tra convocazioni all’ultima ora, opposizioni che cercano di spostare la narrazione storica per propri tornaconti politici, liti furibonde, il risultato è che Maria Elisabetta Alberti Csasellati è stata costretta ieri a sospendere la riunione del Consiglio di presidenza che, per l’appunto, avrebbe dovuto autorizzare la desecretazione degli atti.

LA RIUNIONE VELENOSA. Per capire cosa sia accaduto, però, occorre fare un passo indietro. Alla riunione di ieri convocata dalla Casellati, in effetti, si è arrivati già con i nervi a fior di pelle a causa di una convocazione, su un tema peraltro decisamente delicato, stabilita con margini temporali ridotti all’osso. Non è la prima volta, d’altronde, che la Casellati si riduce all’ultimo. Il caos vero e proprio è scoppiato, però, quando il senatore Gianni Marilotti, che non fa parte dell’Ufficio di presidenza ma che ha partecipato alla riunione poiché presidente della Commissione “per la biblioteca e per l’archivio storico”, ha fatto presente un dettaglio non di poco conto alla seconda carica dello Stato: la Commissione – che è custode di tutti gli atti secretati – ad oggi può contare solo su tre dipendenti.

Ciò vuol dire che lo staff non può far fronte a tutti i verosimili accessi agli atti che ci sarebbero se si desecretassero gli atti fino ai giorni nostri. Ecco perché, ha spiegato Marilotti, sarebbe auspicabile che non si andasse oltre il 2001. Cosa diversa, ovviamente, se si dovesse dotare la struttura di personale in più: in quel caso ben venga una desecretazione fino anche al 2020. Ed è qui che – raccontano i presenti – sarebbe scoppiato il finimondo. Secondo Ignazio La Russa, infatti, quella non sarebbe stata altro che una manovra per non “scoprire” le carte della Commissione Mitrokhin che è immediatamente successiva (2002-2006) e dalla quale sarebbe emerso come ci siano dei legami tra il Fronte di Liberazione palestinese e la Strage di Bologna.

Una ricostruzione che, manco a dirlo, scagionerebbe gli ex camerati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (nonostante le condanne definitive) e colpirebbe invece il “mondo” di sinistra (da sempre filo-palestinese). A quanto pare, dunque, l’interesse politico e ideologico di FdI avrebbe compromesso la desecretazione e dunque il giusto ricordo delle vittime di Ustica. Ad andare su tutte le furie è stata la vicepresidente e senatrice dem, Anna Rossomando: “L’atteggiamento ostruzionistico di una parte dell’opposizione ha reso impossibile la votazione e la presidente Casellati ha deciso di sconvocare la riunione”.

Ma per l’altra vicepresidente, Paola Taverna, anche la Casellati non sarebbe scevra da responsabilità. Dal Consiglio di presidenza, la pasionaria M5S è uscita visibilmente alterata, e non le ha mandate a dire alla presidente del Senato. Lamentando in particolare i tempi ristretti di convocazione della riunione su un tema delicato che avrebbe meritato di essere approfondito. In ogni caso il guaio ormai è fatto. E fa sorridere chi, come Giorgia Meloni, in serata abbia detto che Fratelli d’Italia vuole la desecreazione degli atti di Ustica. Che, intanto, pure per il quarantennale resteranno chiusi in cassaforte.