La Consulta “salva” la Merlin. La legge che dal 1958 vieta il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione non è incostituzionale

Le questioni di legittimità sulla legge Merlin erano state sollevate nell'ambito del processo in corso a Bari in cui è imputato anche Berlusconi

La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha deciso le questioni sulla legge Merlin sollevate dalla Corte d’appello di Bari, nell’ambito del processo in corso che riguarda anche l’ex premier Silvio Berlusconi, e discusse nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019. In attesa del deposito della sentenza, la Corte ha fatto sapere che le questioni di legittimità costituzionale riguardanti il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, puniti dalla legge Merlin, sono state dichiarate non fondate.

“Le questioni – si legge in una nota – erano state sollevate con specifico riferimento all’attività di prostituzione liberamente e consapevolmente esercitata dalle cosiddette escort. I giudici baresi sostenevano, in particolare, che la prostituzione è un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione e che, pertanto, punire chi svolge un’attività di intermediazione tra prostituta e cliente o di favoreggiamento della prostituzione equivarrebbe a compromettere l’esercizio tanto della libertà sessuale quanto della libertà di iniziativa economica della prostituta, colpendo condotte di terzi non lesive di alcun bene giuridico”.

La Consulta ha dunque ritenuto che “non è in contrasto con la Costituzione la scelta di politica criminale operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasta con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale”.