Netanyahu dice che a Gaza non c’è carestia. Che nessuno muore di fame. È la stessa voce che nega i crimini, che chiama “terroristi” i bambini, che bombarda i convogli dell’Unrwa e poi accusa l’Onu di non fare abbastanza. Ora arriva a negare l’evidenza, con il sangue ancora fresco tra le macerie.
Il nuovo rapporto dell’Ipc, sostenuto da Onu, Wfp e Unicef, dice l’esatto contrario: il 39% della popolazione di Gaza passa giorni interi senza mangiare. Oltre 500.000 persone vivono condizioni “simil-carestia”. L’intera popolazione sotto i cinque anni, 320mila bambini, è a rischio di malnutrizione acuta. Bambini che muoiono. Neonati emaciati che non hanno acqua né latte. Famiglie ridotte a nulla che seppelliscono figli senza nemmeno una bara.
A Gaza si muore di fame e lo si fa nel silenzio di chi si volta dall’altra parte. Le tre soglie tecniche che definiscono una carestia – consumo di cibo, malnutrizione acuta, decessi correlati – sono tutte superate in alcune aree. Ma Netanyahu dice che va tutto bene. Perché dire la verità significherebbe assumersi la responsabilità del blocco degli aiuti, della distruzione sistematica dei servizi, della guerra che uccide anche senza sparare.
E l’Occidente? Sta zitto. Troppo occupato a giustificare l’indifendibile o a giocare a equidistanze impossibili. Intanto 62.000 tonnellate di aiuti restano bloccate ogni mese. Ogni giorno che passa è una condanna a morte per centinaia di innocenti.
Chi nega la fame mentre la infligge non è un capo di Stato. È un criminale da tribunale penale internazionale. E chi lo sostiene, chi lo applaude, chi lo finanzia è complice.