Infilatosi da solo in un vicolo senza uscita, Matteo Salvini era sicuramente preparato ad essere sepolto in Senato da una valanga di accuse. La elegantissima e allo stesso tempo implacabile requisitoria del premier Giuseppe Conte deve essere però stata troppo anche per lui. Presa la parola, il capitano ridotto a improbabile sergente ha cercato di difendersi con la sua solita strafottenza e ricorrendo al solito armamentario sovranista e populista. Ha provato a salvare la faccia. Trucchi utili su un palco di qualche festa della Lega, da Pontida in giù, ma che a Palazzo Madama hanno mostrato tutta la loro fragilità. Per venti minuti ha parlato un leader a cui si sono sgonfiati i muscoli pompati all’inverosimile dopo il voto europeo, che disperatamente e invano ha cercato di portare i parlamentari verso l’unica strada rimasta per lui percorribile: il voto. Parole che hanno dimostrato tutta la debolezza dell’uomo e la pochezza del leader privo, come evidenziato proprio da Conte, di cultura istituzionale. Incapace di salvare se stesso e il suo partito dal disastro da lui creato, con il risultato che fuori dal Viminale ad attendere Salvini ci sono anche le inchieste delle Procure che tanto lo turbano e un probabile processo da parte dello stesso Carroccio, diventato partito nazionale per poi tornare a non contare granché per la megalomania del capo. “Ecco, è questo”, continuava a ripetere tra uno slogan e l’altro. A corto di parole quanto di argomenti.
LA PROVA DI FORZA. “Rifarei tutto quello che ho fatto”, ha esordito il leader della Lega con quell’aria da eterno Giamburrasca. E subito ha puntato il dito contro il premier che fino a un minuto prima lo aveva inchiodato alle sue responsabilità e ai suoi errori, dicendo che certe accuse se le sarebbe aspettate da Saviano, da Travaglio o da Renzi, ma non dal presidente del consiglio. Una difesa debolissima, che Salvini, incapace e soprattutto impossibilitato a rispondere nel merito, ha provato a rafforzare battendo sul tema sicurezza a lui tanto caro, specificando che da ministro dell’interno ha creato un’Italia più sicura, per poi puntare il dito contro l’Europa, indicata come principale causa dei tanti italici mali. Per cercare di ergersi a campione del sovranismo ha scomodato persino Cicerone, senza ovviamente neppure avvicinarsi lontanamente alla dialettica dell’oratore romano: “La libertà non consiste nell’avere il padrone giusto ma nel non avere nessun padrone”. Poi, come è suo solito, il ministro ha cercato di cambiare le carte in tavola e di accusare gli altri per una crisi aperta da lui, come se a tramare contro il governo giallo-verde fosse stato il Movimento 5 Stelle anziché la Lega. Ha affermato che forse i pentastellati coltivavano da tempo l’idea di governare col Pd e ha anche tentato di rilanciare l’idea del voto giurando che non comporterebbe un aumento dell’Iva. “Noi ci siamo. Per il taglio dei parlamentari e le riforme. Poi il voto. Noi ci siamo”, ha provato a insistere con i 5 Stelle cercando di evitare lo sfratto dal Viminale. Inutile. Fatta eccezione per il gruppo leghisti, Salvini non è riuscito a ottenere altro che fischi. Sempre cercando di mostrarsi come l’uomo forte che non è ha anche rilanciato: “Il coraggio, come scriveva Manzoni, uno se non ce l’ha non se lo può dare”.
SLOGAN FASULLI. Il leader leghista è quindi arrivato a dichiarare che il governo è caduto perché c’erano troppi “signor no” che bloccavano tutto, per Ministeri che erano un “porto delle nebbie”, per chi ama la “decrescita felice”. Del resto non poteva dire di aver pensato di fare una furbata e prendersi con facilità tutto il potere salvo poi accorgersi di aver perso anche il potere che aveva. Non poteva ammettere che sul lido del Papeete ha preso un abbaglio. E come se non bastasse è nuovamente ricorso ai simboli religiosi, a dire che affida il popolo italiano al cuore immacolato di Maria. Infine, tanto per non lasciarsi nella manica nessun asso della propaganda, ha puntato sull’amore che “vince sempre”, sul fare la vittima dicendo che in lui è stato scelto il bersaglio, sulle famiglie che sono fatte di una mamma e un papà e sul Pd partito di Bibbiano, ringraziando prima di sedersi anche i suoi figli. Spot validi sui social, ma non nelle aule parlamentari, dove un uomo così digiuno di cultura istituzionale di like non ne prende neppure uno. Il ministro che voleva pieni poteri è stato bannato dal Parlamento.