Il tema della pestilenza e del morbo è un archetipo profondamente radicato nell’inconscio collettivo e in questi sorprendenti tempi di pestilenza riaffiorano identici dall’antichità ancestrale in cui pensavamo di averli rilegati una volta per tutte. La peste è stata per tutto lo sviluppo dell’umanità una presenza costante descritta ed esorcizzata dall’arte e nello specifico dalla letteratura.
Lasciando quindi da parte le descrizioni prettamente legate a campagne militari ci vogliamo soffermare a volo d’uccello su qualche capolavoro iniziando dal Decameron (1349) di Giovanni Boccaccio. Nel 1348 la peste nera devasta Firenze e lo scrittore immagina che tre ragazzi e sette ragazze si ritrovino in campagna per sfuggire al morbo e prevedano appunto dieci giorni (dal titolo greco) di isolamento che riempiono con varie attività tra cui raccontare ognuno una novella. I racconti, scritti nell’italiano del tempo, sono godibili ancora oggi e sono incentrati su contenuti erotici e su libagioni, come se la ricerca del piacere esorcizzasse il morbo. Del 1827 è la prima edizione de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni la cui trama è troppo nota per essere anche solo accennata. Interessante è che il tema della peste è centrale perché provocherà nei protagonisti grandi cambiamenti esistenziali rivelandone nel bene e nel male la loro umanità alla luce della fede.
Nel 1947 Albert Camus scrive La peste ambientato in un paese dell’Algeria negli anni ’40 dello scorso secolo. Il protagonista è un medico, Bernard Rieux, che si trova improvvisamente proiettato insieme ai suoi concittadini nell’orrore della peste nera. Il morbo cambia rapidamente tutta l’esistenza degli abitanti mettendo in luce una dinamica di eventi incredibilmente simili a quello a cui stiamo esistendo in questi giorni con il Coronavirus. Dall’inizio del morbo alla liberazione finale si assiste all’espandersi di tutto il corollario a cui stiamo diventando familiari: abluzioni, disinfettanti, misure di contenimento e storie umane che ancora mostrano miseria e grandiosità. Nel 1981 Gesualdo Bufalino pubblica Diceria dell’untore, storia anch’essa d’amore tra due giovani che si sono conosciuti in un sanatorio e sono malati di tisi. La vicenda si svolge nel 1946 appena dopo la fine di un altro evento nefasto la seconda guerra mondiale. Quello di Bufalino è un romanzo psicologico che compone un dialogo inesausto e continuo sui temi dell’esistenza con il sottofondo sempre presente del morbo.
Un altro titolo famoso è naturalmente L’amore al tempo del colera (1985) del colombiano e Nobel Gabriel Garcia Marquez. Si tratta di una complessa trama di contenuto erotico (guarda caso) in cui il morbo recita, ancora una volta, la parte di guida della storia che svelerà intrecci e tradimenti. Ne traspare la tensione tra eros e angoscia che anche per Freud costituirebbe il motore trainante dello sviluppo della società. Di questi romanzi proposti mi pare La Peste di Camus che sia il più rispondente a quanto avviene oggi in tutto il mondo grazie alla descrizione psicanalitica della paura che si trasforma in angoscia e che è poi il motivo trainante di tutto. Questi romanzi sono utili, in questi difficili tempi, per capire le dinamiche a cui stiamo andando incontro e per ribadirci che, come dice l’Ecclesiaste, “nulla di nuovo sotto il sole”.