“La lezioncina del ripetente Carlo Calenda a reti unificate sui media compiacenti”. La sua gestione disastrosa del dossier Ilva è un fatto, ma a sprezzo del ridicolo accusa tutti tranne che se stesso

Carlo Calenda accusa tutti sulla gestione dell'ulva, tranne che se stesso. E i media compiacenti dimenticano il suo disastro.

“La lezioncina del ripetente Carlo Calenda a reti unificate sui media compiacenti”. La sua gestione disastrosa del dossier Ilva è un fatto, ma a sprezzo del ridicolo accusa tutti tranne che se stesso

La vergogna della politica italiana, dell’inadeguatezza (di cui tutti siamo colpevoli) che spinge il 50% della popolazione a non andare a votare, della povertà di idee e azioni cui purtroppo l’Italia sembra costretta, va divisa a metà con il sistema mediatico del nostro paese. Fra i fenomeni più incredibili in tal senso – roba da studiare, da analizzare seriamente in un trattato psico-economico di cui si avverte l’urgenza – c’è il rapporto dei nostri media con quell’imbarazzante personaggio chiamato Carlo Calenda, leaderino del suo partitino, parvenu che non appena apre bocca ricorda il verso di Guccini “col ghigno e l’ignoranza dei primi della classe”, benché lui non abbia il phisyque du role nemmeno per fare il primo della classe, infatti era ripetente già al liceo.

Vetrine spropositate per Carlo Calenda

Un caso di scuola, un pietoso stillicidio quotidiano, un ometto che conta sull’amicizia e la complicità di TV e giornali per insultare tutti, delegittimare chiunque, scaricare fango e autoelogiarsi come un bambino dell’asilo che se non gli dicono “bravo!” batte i piedini a terra e se lo dice da solo, urlando.

Un politico di qualunque paese europeo che definisse “Scappati di casa” migliaia di laureati vincitori di un concorso pubblico (i navigator), verrebbe isolato in primis dai suoi e difficilmente perdonato.

Un politico di qualunque paese europeo che prendesse i voti di un partito per farsi eleggere e poi lo lasciasse pochi mesi dopo per farsi un partito proprio e insultare il partito che lo ha eletto, avrebbe chiuso.

Un europarlamentare di qualunque paese che si vantasse sui social di stare per un anno e mezzo a far la campagna elettorale in un città disertando l’europarlamento (con l’imabarazzante alibi delle percentuali di voto, quando col Covid si può votare online!), verrebbe massacrato.

Un politico di qualunque paese europeo che si candidasse a sindaco della Capitale con lo slogan “Roma sul serio” senza lasciare poltrona e stipendio da eurodeputato e poi – essendo trombato come sindaco – rinunciasse al seggio da consigliere comunale, verrebbe spernacchiato anche dal suo salumiere.

Un politico di qualunque paese europeo che avesse combinato i disastri che lui è riuscito a combinare sull’Ilva e andasse in Tv a dire che Di Maio ha distrutto l’Ilva, verrebbe pubblicamente sbugiardato in sette secondi da osservatori indipendenti (ma in Italia esistono?) e accompagnato da uno specialista.

Un politico di qualunque paese europeo che sapesse solo parlare di sé, verrebbe ignorato dai media di quel qualunque paese, ma questo – tutto questo – non avviene in Italia. In Italia avviene che questo signore riceva uno spazio incredibile in TV e sui giornali, come se avesse un peso, fosse una persona affidabile, avesse un’idea politica qualunque che non sia “gli altri sono pippe io sono bravissimo”.

Se avessimo giornalisti all’altezza dovrebbero chiedergli subito: “Chi te lo ha detto, mammina?”. Perché la boria, la spocchia, l’immotivata e ridicola autocelebrazione di Carlo Calenda, il suo classismo disgustoso e la sua incapacità da manuale di comprendere la sua stessa irrilevanza, sono perenni e sgradevoli come un continuo stridore di unghie su specchi.

Eppure è un profluvio di inviti e salamelecchi per il figlio di quella celebre mammina (la brava regista Cristina Comencini) che non gli ha donato alcun talento.

Questo giovane emulo del generale Pappalardo – o se preferite questo Sgarbi che non ce l’ha fatta – l’altra mattina si è rifiutato di confrontarsi con me in un dibattito televisivo, dicendo “non ce la faccio fisicamente”, e prima di scappare ha detto “Giarrusso che scrive è già una notizia”, senza venire minimamente redarguito né dalla conduttrice né dagli ospiti presenti.

Il micropartito di Carlo Calenda e la sua maxiesposizione

Ho potuto replicare solo quando il cuor di Leone già trombato con Monti e miracolato dal PD era andato via, spiegando come sia ridicolo e penoso fare le battaglie contro il bullismo e poi permettere ad un eurodeputato (benché assente, lo stipendio lo prende!) di comportarsi così.

Myrta Merlino correttamente ne ha convenuto, ma ciononostante in serata sulle home dei giornaloni (Giannini, stacce!) Calenda si è trasformato magicamente in “vittima di body shaming”.

Ecco, quando dico che servirebbe un trattato psico-economico per parlare di quest’ometto e dei suoi rapporti con i potenti di questo paese (Calenda è stato strafinanziato da diverse aziende, chissà perché…) non lo dico per caso.

Solo che in attesa di quel trattato, Letta dovrebbe decidere se stare con chi ha il 2%, scappa dai confronti, insulta tutti a partire dal PD e dice “mai con i Cinquestelle”, oppure con chi ha un leader come Giuseppe Conte, il 16% e un’idea di paese e di società autenticamente rivoluzionaria. Perché in TV si possono raccontare tutte le balle che si vuole, nelle urne no.