La lobby del rientro dei capitali

di Stefano Sansonetti

Basta guardare l’incredibile numero di convegni dedicati al tema. E siamo solo all’inizio. La realtà è che dietro alla cosiddetta voluntary disclosure, ovvero il piano di rientro dei capitali detenuti all’estero, non c’è soltanto l’interesse del governo a incassare soldi nel minor tempo possibile. C’è anche una massiccia dose di interessi riconducibile alla lobby delle banche, con tutto il movimento di fiduciarie a loro ricollegabile, e a quella degli studi legali. Del resto c’è una montagna di circa 200 miliardi custodita al di fuori dei confini nazionali (la maggior parte dei quali in Svizzera). Per gli istituti di credito, andando subito al sodo, le frontiere di business sono sostanzialmente due: l’incasso di laute commissioni, derivanti dalle attività di consulenza e assistenza che si troveranno a prestare, e la prospettiva di far depositare presso le proprie strutture la somme che di volta in volta rientreranno. Certo, molto dipenderà dalla fisionomia definitiva del provvedimento. Ma la caccia al business è partita.

Approfondimenti a go go

Soltanto a guardare i convegni tecnici organizzati sul tema spicca un gruppetto di banche particolarmente attive. Ne fanno parte Banca Albertini Syz, Monte dei Paschi, Banca Generali e Banca Finnat della famiglia Nattino. Ma in realtà l’argomento interessa tutte le altre banche. Anche perché, quando il meccanismo sarà pronto a partire, i contribuenti che regolarizzeranno o rimpatrieranno capitali detenuti all’estero lo faranno facendo spesso ricorso alle fiduciarie, cioè quelle società che normalmente vengono usate per “schermare” i veri proprietari. Ed è appena il caso di ricordare che gli strumenti fiduciari molte volte sono messi a disposizione e formalmente controllati proprio dalle banche. Che anche per questa via, quindi, rientrano in un business che si annuncia particolarmente succulento. Tanto per fare un esempio, diversi documenti tecnici di approfondimento sul tema della voluntary disclosure possono essere rintracciati sul sito internet di Mps fiduciaria (del gruppo Monte dei paschi).

Le norme

Questo stato di cose fa anche capire perché le banche abbiano così tanto interesse a rendere lo schema il più conveniente possibile. Dopo il provvedimento messo e punto dal governo di Enrico Letta, e poi non approvato, ora la palla è passata alla commissione finanze della Camera, dove è all’esame un ddl che di fatto impone il pagamento delle imposte originariamente dovute, riconoscendo sconti a livello di sanzioni e interessi. In più cerca di rendere il meccanismo più appetibile prevedendo la non punibilità per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione e la riduzione a metà delle pene per la dichiarazione fraudolenta. Ma proprio su quest’ultimo punto, nei prossimi giorni, potrebbe consumarsi un braccio di ferro. Secondo alcuni, infatti, estendere la non punibilità alle dichiarazioni fraudolente, almeno quelle realizzate con particolari artifici, renderebbe il meccanismo di rientro ancora più “suggestivo”. Ma qui avrà voce capitolo il governo, in particolare il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, che nei giorni scorsi ha escluso di voler dare il via libera a un condono.

Tecnici al lavoro

E qui, naturalmente, entrano in gioco anche gli studi legali, che in queste ore stanno facendo un bel pressing sul Parlamento, anche loro interessati a spuntare norme più favorevoli. Che gli avvocati abbiano la loro bella parte in causa è dimostrato, tra le altre cose, da un convegno organizzato a fine 2013 da Banca Albertini Syz. In quell’occasione erano ospiti rappresentanti di vari studi legali, tra cui Jaggi & Scheller di Lugano, Pirola Pennuto Zei & Associati, Tremonti Vitali Romagnoli Piccardi e Associati, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners. Ma in altre occasione si sono distinte le presenze dello Studio Chiomenti e dello Studio Russo De Rosa. Anche per loro il rientro dei capitali può dar vita a un’autemtica cuccagna.

@SSansonetti