“La mafia è diventata Cosa Mia”. Lirio Abbate ospite al Magna Grecia Awards. La vita in prima linea di un giornalista “eroe”

“Dopo le stragi del ’92 Cosa Nostra ha capito che l’attacco diretto, violento allo Stato era controproducente. Da quel momento sempre di più lo Stato si è abbracciato alla mafia che non è stata la stessa cosa del terrorismo, subito disinnescato e debellato. Non dimentichiamoci il comportamento degli stessi palermitani che si giravano dall’altro lato, e scrivevano lettere in cui si dicevano disturbati dal rumore delle sirene dei poliziotti che proteggevano Falcone. Oggi la mafia dei corleonesi non c’è più, è stata sconfitta, ha cambiato strategia: esibisce la sua potenza economica, in silenzio, ed è in grado di infilarsi ovunque, senza utilizzare sangue e delitti. Per la gente comune è come se non esistesse più, ma i commercianti, gli imprenditori lo sanno che sta sempre lì, chiede il pizzo, ti obbliga, ti minaccia, e si fa fatica a denunciare episodi di un certo tipo, magari di tipo estorsivo, perché quasi non vengono più associati al volto storico e duro della cupola mafiosa”.

Parola di Lirio Abbate (nella foto), saggista, giornalista investigativo di chiara fama, vice direttore de L’Espresso, sotto scorta da anni per le sue inchieste, in promozione, in una delle ultime giornate del festival Magna Grecia Awards in corso di svolgimento nell’hinterland tarantino, del suo ultimo libro U Siccu. Matteo Messina Denaro: l’ultimo capo dei capi per Rizzoli. Reporters sans Frontières lo ha inserito fra i “100 eroi dell’informazione” nel mondo. Con Peter Gomez ha scritto I complici (2007), con Marco Lillo I re di Roma (2015), con Marco Tullio Giordana Il rosso & il nero (2019). Per Rizzoli ha pubblicato Fimmine ribelli (2013) e il bestseller La lista. Il ricatto alla Repubblica di Massimo Carminati (2017).

Insomma un vero giornalista-eroe, abituato al rischio, alla prima linea, e alla solitudine e allo spavento, ma anche al coraggio e alla tenacia, che lottare contro i pezzi grossi della criminalità organizzata può suscitare. Ma si schermisce al riguardo. “Quanto sono andato a Parigi per il riconoscimento di Reporters ho contestato la patente di “eroe”, non mi ci sento affatto, soprattutto perché a fianco a me ricevevano questo ambito premio colleghi di paesi come la Cina e il Messico dove davvero per aver pubblicato un fatto vero si viene uccisi e decapitati senza pietà. Ma certo, conosco il valore nobile della notizia: non sono un istruttore, un giudice, ma essa non è solo e sempre notizia di reato. Va oltre, è una cosa documentata, riscontrata, che ha un interesse pubblico e che va resa nota. Ed è quell’”oltre” che fa impazzire i mafiosi e i loro collusi quando qualche giornalista per amore di verità ne svela contraddizioni, interessi, sistemi”.

Il volto sfigurato ma sempre rigenerato e, paradossalmente, al passo coi tempi dei seguaci di Riina e Bagarella, viene definitivamente sintetizzato da Abbate sul palcoscenico allestito nell’area antistante il Convento francescano a Castellaneta: “Oggi sai chi è potente e il potente sa che sei in difficoltà, per cui tu diventi Cosa Mia, con le tue attività, il tuo lavoro. Soci fittizi che mettono denaro fresco entrano nelle aziende, e la mafia così si impossessa della proprietà e riceve finanziamenti pure dallo Stato o dall’Europa, come sta succedendo in queste ultime settimane con il Covid e certe erogazioni a fondo perduto che stanno privilegiando le imprese agricole per farle ripartire.

Così facendo drogano il mercato, fanno una concorrenza spietata a tutti quei cittadini che pagano le tasse e scelgono di vivere nel rispetto delle regole e della vita comunitaria. Questi meccanismi devono creare allarme proprio perché si percepisce una sorta di calma piatta, ma la ‘ndrangheta, ad esempio, ha tanti soldi da investire in conseguenza del narcotraffico, e con l’invisibilità si trasforma in predone di territori vergini che non hanno gli anticorpi per reagire”. Un vero e proprio “Welfare mafioso”, lo chiama Abbate: il collasso dello Stato assistenziale foraggia una nuova forma di servitù che lega inesorabilmente l’uomo della strada, senza risorse e senza sicurezze sociali, alle milizie di morte e distruzione che promettono pane e sopravvivenza.