La mano dei Lettas nelle nomine pubbliche

di Denise Pardo per L’Espresso

In ordine d’importanza, ma sotto, un bel po’ sotto al tavolo ufficioso formato da Matteo Renzi, Luca Lotti e Marco Carrai, la triade alla ricerca della miglior mappa possibile per le nomine degli enti pubblici in scadenza a giorni, c’è un altro tavolo, ufficiale questa volta, che conta e lavora. È il tavolo di Spencer Stuart, società internazionale di cacciatori di teste e vincitrice di due gare per la selezione degli uomini d’oro che siederanno sulle 350 poltrone che da metà mese diventeranno vacanti. Spencer Stuart di uomini d’oro se ne intende: nel suo advisory board due nomi al vertice del potere, influenti e autorevoli sempre, sia che entrino, sia che escano dalle porte girevoli di Palazzo Chigi e anche della stessa Spencer. Per di più zio e nipote. Si tratta di Gianni e Enrico Letta, mai al governo insieme, in Spencer Stuart sì.

In ballo, ora, ci sono le poltrone più pesanti dell’economia pubblica italiana. Il potere vero ai massimi livelli, tali da avere a che fare, a volte, con Vladimir Vladimirovic Putin o Barack Obama quando si tratta di gas, petrolio, energia, difesa del mondo. L’elenco con le caselle da riempire è infinito, colossi come Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, aziende quotate in Borsa e no, società partecipate direttamente o indirettamente dal Tesoro, centri studi, enti desueti. La griglia su cui poggia buona parte del sistema del Palazzo e del Paese e che questa volta, per parlare renziano, può cambiare davvero verso, può essere alla svolta buona. Ed è soprattutto una significativa cartina di tornasole per Matteo Renzi.

Ma andiamo per ordine. In nome della trasparenza, nel giugno del 2013, al tempo del governo di Enrico Letta, dopo gli scandali di Finmeccanica, una direttiva del ministero dell’Economia, allora c’era Fabrizio Saccomanni, traccia una procedura per arrivare a selezionare i manager da designare alla testa delle aziende pubbliche. Viene nominato un Comitato di garanzia con personaggi di rango: Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, Vincenzo Desario, ex direttore generale di Banca d’Italia, la professoressa Maria Teresa Salvemini, consigliere Cnel. A loro saranno consegnate le liste con le rose dei candidati, amministratori delegati, presidenti, consiglieri d’amministrazione, selezionate dalle società di cacciatori di teste chiamate a supportare la direzione Finanza e privatizzazioni del Tesoro guidata da Francesco Parlato. Poi la Provvidenza, il fato o la fortuna faranno la spola con Palazzo Chigi.

In più, chi vuole proporsi autonomamente, con un ottimismo degno di essere studiato dai cervelloni della Nasa, può mandare un curriculum a candidature@tesoro.it. facendo finta di vivere in Gran Bretagna dove per il posto del governatore e del suo vice è apparso un annuncio a pagamento sull’“Economist”.
Una scelta sacrosanta almeno formalmente al riparo di appetiti politici e delle complicate scacchiere di lobby, relazioni, fratellanze, affiliazioni, appartenenze che nel sistema del Palazzo hanno contato non poco, sicuramente troppo. Ma che certo non hanno smesso di esercitare ancora adesso la loro pressione.
A luglio 2013 l’incarico per le candidature delle società del Tesoro, un gran bel bottino, se l’aggiudicano Spencer Stuart e Korn Ferry (per legge gli head hunters devono essere due). E il 10 marzo 2014 anche la gara di Cassa Depositi e Prestiti per le sue partecipate, altro gruzzolo prelibato, viene vinta ancora da Spencer Stuart, il cui presidente e amministratore delegato è Carlo Corsi, ex carabiniere, cavaliere e colonnello dell’influente e misterioso Ordine di Malta. Così, forse a causa dei malumori all’interno al Tesoro per l’eccessiva egemonia di Spencer Stuart, succede che Cassa mandi un nuovo invito per una seconda gara. A vincere, questa volta, è Management Search che dovrà dividere l’impegno con Spencer. Un invito, si diceva. Un invito? Per partecipare a una gara al ministero dell’Economia serve un invito come per il ballo della Rosa a Montecarlo? Sì, le competizioni non sono aperte a tutti ma sono a chiamata diretta. È assolutamente lecito ma certo in questo modo si può decidere chi chiamare e chi no, escludendo anche chi ha i titoli.

Spencer, che in questa tornata raddoppia, sicuramente i titoli li ha. Ma ha anche gli uomini, uomini che contano, conoscono tutti, aprono qualsiasi porta se è il caso e possono pesare nelle scelte. Come Gianni Letta, plenipotenziario di Silvio Berlusconi, più volte sottosegretario del Consiglio, cooptato anche da Goldman Sachs, che a metà degli anni Duemila entra nell’advisory board di Spencer Stuart. Qualche anno dopo è la volta di suo nipote Enrico Letta. Ecco il “Save the date” per il Forum Spencer Stuart in collaborazione con il “Corriere della Sera”: «È prevista la partecipazione dei membri del nostro Advisory Board: Carlo Secchi (presidente) Raffaele Agrusti, Elio Catania, Enrico Letta, Tomaso Tommasi». La data è dell’8 novembre 2012. Cinque mesi dopo Letta jr diventerà presidente del Consiglio. Al tempo del Forum, ha un ruolo di primissimo piano nel panorama politico, è vice segretario del Pd.

Ma anche il presidente dell’advisory board di Spencer Stuart, Carlo Secchi, è uomo molto influente. E grazie alle sue molteplici vite ha accesso ai cerchi magici più importanti. Ex rettore della Bocconi, è un collezionista d’incarichi, per dirne qualcuno è presidente del cda di Mediolanum e consigliere di Mediaset. Non ha disdegnato la politica: è stato parlamentare europeo nel 1994 e poi senatore per il Ppi, partito nel quale cresce Enrico Letta. Secchi rappresenta l’incrocio perfetto, nemmeno in provetta si sarebbe potuto fare meglio, tra Mario Monti, Silvio Berlusconi, Gianni ed Enrico Letta: le larghe, larghissime intese. Non è proprio quello che si può definire un soggetto indipendente.

Ma per rimanere all’interno della trama dell’uncinetto del gran potere, il 5 dicembre dell’anno scorso nel nuovo comitato d’indirizzo dell’Istituto Toniolo, potentissimo ente fondatore e promotore dell’Università Cattolica, arriva Gianni Letta. Ad accoglierlo seduto al suo stesso tavolo anche Cesare Mirabelli, proprio il presidente del Comitato di garanzia per le nomine del Tesoro. Il ministero che ha “invitato” alla gara per le nomine la Spencer Stuart.

Così mentre Paolo Scaroni, Fulvio Conti, Massimo Sarmi, Alessandro Pansa sfogliano la margherita del loro futuro, girano i requisiti del management spendibile al tempo di Renzi: tetto dei mandati, non più di tre, stipendi più umani, verginità giudiziaria, bassa commistione con vecchi poteri e mandarini, totale trasparenza. Peccato che nonostante la delicatezza del suo lavoro per la trasparenza delle nomine, Spencer Stuart abbia tra i suoi principali clienti proprio l’Eni di Scaroni e progetti in corso con Enel e Finmeccanica. Sarà questo il motivo per cui la società rifiuta di rilasciare dichiarazioni su chi siede oggi nel suo advisory board, ricostruibile solo sulla base di indiscrezioni e di take d’agenzia? Forse la privacy è d’obbligo se ci sono persone di rango come Letta o se magari si possono profilare all’orizzonte conflitti d’interessi. Ma non sarà così, altrimenti il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi lo saprebbero certamente.