L’Italia industriale crolla in silenzio. Non ci sono conferenze stampa, né piani pubblici di riconversione o rilancio. Solo una lista, lunga e fitta, di nomi, città, province, settori. Una mappa della crisi che si estende da Nord a Sud, come un’infezione sistemica, e che Collettiva – il portale della Cgil – ha raccolto e documentato con precisione chirurgica. Dentro ci sono gli esuberi, le casse integrazioni, le chiusure definitive e gli accordi di solidarietà. C’è l’automotive, la siderurgia, il tessile, l’informatica. E c’è soprattutto il silenzio di un governo che assiste senza intervenire.
Il collasso dell’automotive
Il cuore della crisi batte nel settore automobilistico. Solo Stellantis ha annunciato quasi 2.000 esuberi dall’inizio dell’anno, con tagli che colpiscono tutti i poli produttivi italiani: da Pratola Serra a Mirafiori, da Atessa a Cassino, passando per Melfi, Pomigliano, Termoli. L’azienda firma accordi per uscite incentivate, mentre la Fiom-Cgil – unica sigla a non sottoscrivere i patti – denuncia “l’assenza di un piano industriale” e “il progressivo svuotamento di interi territori produttivi”. A Mirafiori, 610 addetti sono stati messi alla porta. A Cassino, 265. A Atessa, 427. A Termoli si è aperta l’ennesima cassa integrazione cautelativa. E intanto l’indotto affonda: la Metatron di Castel Maggiore, la Pierburg di Livorno e la storica Alcantara di Terni sono solo alcuni dei nomi che hanno avviato o rinnovato misure di emergenza.
Industrie dismesse, territori orfani
La deindustrializzazione non è una variabile. È una strategia che si consuma giorno dopo giorno. A Brugherio, l’“ex Candy” di Haier ha terminato la produzione. A Piombino, 401 operai della Liberty Magona entrano in cassa integrazione straordinaria, in attesa di un acquirente che ancora non c’è. A Genova, la Phase Motion Control sospende l’attività e manda a casa 170 lavoratori. Sempre a Genova, chiude definitivamente anche la Technisub. Ad Alessandria, la Expo Inox chiude i battenti. E ad Arco, nel Trentino, la Alphacan riduce l’orario a quattro giorni a settimana. La lista è interminabile e dettagliata nel rapporto di Collettiva.
Servizi, logistica e digitale: il miraggio del terziario
Chi pensa che il declino riguardi solo la manifattura si sbaglia. Il magazzino Geodis di Carpiano (Milano) chiude dopo il recesso di Amazon. A Ivrea e Pont-Saint-Martin, 59 lavoratori di Core Informatica restano senza prospettive dopo l’annuncio della chiusura. Anche i servizi legati all’amministrazione pubblica vanno in crisi: a Rovigo, 210 lavoratrici di B.P. Services e Citizenship Service entrano in cassa integrazione. A Cagliari, Tiscali riduce l’orario del 20%, con contratti di solidarietà fino al 2026.
Tessile, carta e ceramica: il made in Italy in fuga
A Tolentino (Macerata), l’ex Nazareno Gabrielli smette di produrre agende e diari. A Camposanto (Modena), la Ceramica Opera Group va verso la cessazione. A Pordenone, la Modine Cis Italy chiude e licenzia. Il Cotonificio Zambaiti di Cene (Bergamo) mette in cassa 50 dipendenti. A Cordenons, la cartiera Fedrigoni proroga l’ammortizzatore sociale a causa del calo di ordini. In questo quadro, persino aziende storiche come la Baldinini di San Mauro Pascoli chiudono il settore produttivo, mantenendo solo l’aspetto commerciale.
L’inerzia del governo e il monito della Cgil
Mentre l’Istat registra l’ennesimo calo della produzione industriale (–0,7% su base mensile, –0,9% su base annua), il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, parla di “un’emergenza nazionale ignorata”: “Mentre la nostra economia si sgretola, il governo si distrae con le sue beghe interne e comunicati che mascherano la realtà”. Stellantis diventa così il simbolo della disfatta: un colosso che taglia e delocalizza, senza vincoli e senza una controparte istituzionale in grado di contrattare un futuro.
Nel frattempo, dalle regioni si moltiplicano gli interventi-tampone: come in Basilicata, dove per la prima volta viene usato il fondo per le aree di crisi industriale complessa per garantire un altro anno di cassa integrazione ai 115 lavoratori della Sgl. Una misura parziale, che “dovrebbe essere un piano industriale, non un’iniezione di morfina”.
Un Paese che si ritira, un’Italia che scompare
La mappa tracciata da Collettiva è un atlante della resa. Un’Italia che non smette di produrre perché non è più in grado, ma perché è stata lasciata sola: senza investimenti, senza pianificazione, senza coraggio politico. Chiudono le fabbriche, si assottigliano i distretti, si riducono le competenze. La classe lavoratrice – quella vera – smette di esistere non per scelta, ma per abbandono.
E mentre si spengono i forni e le linee produttive, si spegne anche un’idea di Paese.