La Meloni a capo chino. Pronta al mea culpa dopo gli insulti a Scholz

Domani a Granada il bilaterale Italia-Germania. Meloni deve ricucire con il cancelliere Scholz per evitare guai.

La Meloni a capo chino. Pronta al mea culpa dopo gli insulti a Scholz

In questi giorni la diplomazia italiana è indaffarata per organizzare un incontro bilaterale, domani a Granada, in Spagna, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz parteciperanno al Consiglio europeo. Lo scopo, dicono da Palazzo Chigi, è quello di provare a appianare lo scontro tra Italia e Germania di questi ultimi giorni: ricomporre i rapporti per l’Italia è fondamentale per sbrogliare la matassa europea sull’immigrazione e soprattutto per non correre rischi a Bruxelles in occasione della prossima Legge di Bilancio che il governo si prepara a varare.

Domani a Granada il bilaterale Italia-Germania. Meloni deve ricucire con il cancelliere Scholz per evitare guai

È la consueta Meloni bifronte, sovranista in Italia e mansueta in Europa, che corre a riparare i danni che lei stessa provoca e rintuzza per non rimanere isolata sul fronte europeo. Solo lo scorso 25 settembre Meloni aveva scritto a Scholz per esprimere i suoi dubbi sui finanziamenti tedeschi alle navi umanitarie. “Ho appreso con stupore che il Tuo Governo – in modo non coordinato con il Governo italiano – avrebbe deciso di sostenere con fondi rilevanti organizzazioni non governative impegnate nell’accoglienza ai migranti irregolari sul territorio italiano e in salvataggi nel Mare Mediterraneo”, scriveva nella missiva la presidente del Consiglio. Alle rimostranze di Meloni si aggiunsero quelle del ministro della Difesa Guido Crosetto, che in un’intervista aveva definito “molto grave” il finanziamento di Berlino.

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato di “atteggiamento strano” e ha annunciato un viaggio per chiedere chiarimenti alla collega Annalena Baerbock. La Germania rispose – piuttosto piccata – di avere informato già da un anno l’ambasciata italiana dell’intenzione di finanziare alcune Ong poiché ritiene indispensabile “salvare vite umane”. Il giorno successivo ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensò il vicesegretario della Lega Andrea Crippa parlando con Affaritaliani: “Ottant’anni fa il governo tedesco decise di invadere gli stati con l’esercito ma gli andò male, ora finanziano l’invasione dei clandestini per destabilizzare i governi che non piacciono ai socialdemocratici”, aveva tagliato corto Crippa, dicendo probabilmente quello che il suo segretario Matteo Salvini avrebbe voluto ma non poteva dire.

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La strampalata teoria di Crippa si basa sull’idea che “sicuramente in Germania non vogliono ne Salvini ne Meloni e vorrebbero o un governo tecnico, Monti o Draghi o chicchessia, o di sinistra, Schlein o altri”. Il 28 settembre è toccato al ministro agli Esteri Tajani provare ad abbassare i toni. Incontrando a Berlino, come detto, la sua omologa in Germania, la responsabile degli Esteri Annalena Baerebok, Alla quale chiarì che “nessuno fa la guerra alle ong però non possono essere una sorta di calamita per attrarre migranti irregolari che poi, guarda caso, vengono portati sempre e soltanto in Italia perché è il porto più vicino” invitando la Germania a sforzi finanziari “su soluzioni strutturali della questione migratoria”. “La Germania è un Paese amico – ha detto in quell’occasione Tajani – ma l’amicizia non impedisce di sottolineare che ci sono dei problemi che comunque non intaccano l’amicizia storica”.

La responsabile degli Esteri in Germania Baerebok ha stemperato i toni spiegando ai giornalisti che “se una lettera e la questione del finanziamento delle ong costituiscono l’unico problema tra due Paesi, saremmo ben lieti che i problemi si riducessero a questo”. Le dichiarazioni di Crippa vennero derubricate a “opinioni personali di un parlamentare, non del governo” ma probabilmente la Germania non ne è completamente convinta. Arrivati a questo punto a Giorgia Meloni non resta che fare ciò che da un anno le viene meglio: ripresentarsi con le orecchie basse di fronte ai capi di Stato dei Paesi europei fingendo che le parole con cui concima il consenso in patria siano semplici “errori” di qualcuno dei suoi. Ottenute le scuse ricomincerà – c’è da scommetterci – a farlo di nuovo.