La Meloni è la degna erede di Draghi

La Meloni ha vinto le elezioni grazie all’opposizione dichiarata al Governo dei Migliori, però il suo programma è identico all’agenda Draghi.

Si è fatta vanto in campagna elettorale di essere l’unico partito che ha fatto opposizione al governo Draghi, un esecutivo di tecnici incapace di affrontare le vere emergenze del Paese, ma poi ha nominato titolare al Mef Giancarlo Giorgetti, considerato il più draghiano tra tutti i ministri del governo precedente, e ha mantenuto come consigliere Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica.

La Meloni ha vinto le elezioni grazie all’opposizione dichiarata al Governo dei Migliori, però il suo programma è identico all’agenda Draghi

Giorgia Meloni ha vinto le elezioni grazie all’opposizione dichiarata al Governo dei Migliori, però il suo programma è identico all’agenda Draghi. In questa maniera ha tradito i suoi elettori, si è rimangiata tutte le promesse fatte, e con la sua prima Manovra ha compiuto il miracolo di mettere d’accordo tutti – Confindustria e sindacati, Ocse, Bankitalia e Corte dei conti – nell’unanime bocciatura di una legge di Bilancio senza visione con misure timide e inefficaci.

Ogni volta che interviene nelle sedi istituzionali – com’è avvenuto ieri in Parlamento per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo – Meloni conferma questo tradimento ai danni prima di tutto del suo stesso elettorato. Non solo. Seppellisce una volta per tutte le speranze di chi, ex elettore della Lega, ha deciso di passare con lei e di chiudere con Matteo Salvini, considerato troppo accondiscendente con la linea Draghi e con i diktat dell’Ue.

E invece questi elettori si sono dovuti ricredere davanti a una linea economica fatta di lacrime e sangue, improntata alla più violenta austerity in linea con le ricette neoliberiste di chi l’ha preceduta, vale a dire Mario Draghi, e con una traiettoria diplomatica sempre più asservita agli Stati Uniti e vittima delle indicazioni che arrivano da Bruxelles e dai Paesi che più contano in Europa (Francia e Germania). Partiamo dalle ricette neoliberiste.

Quando Meloni si è presentata in Parlamento per chiedere il voto di fiducia al suo esecutivo ha detto che il motto del governo è non disturbare chi vuole fare, non disturbare chi produce. Che vuol dire mano libera agli imprenditori, nello stesso momento in cui la sua Manovra getta le basi di quel progressivo smantellamento del Welfare che ha in mente, a partire dall’attacco al Reddito di cittadinanza e alle pensioni di tanti italiani.

Siamo sicuri che tutto questo sia rispettoso della volontà degli elettori di Fratelli d’Italia? Insomma del suo programma rivoluzionario non è rimasta traccia, anzi Meloni e il suo Fratelli d’Italia, con queste dichiarazioni, sono diventati l’emblema del partito-sistema, espressione dei poteri forti.

Con pochi risultati peraltro, considerato che le imprese a cui Meloni strizza l’occhio hanno bocciato sonoramente i suoi primi passi, dal taglio del cuneo fiscale definito risibile dal momento che a loro non arriva neanche un centesimo all’attacco lanciato al Superbonus, su cui forse la premier sta riuscendo a fare persino peggio di Draghi.

Ma persino gli evasori si aspettavano di più dalla pace fiscale (leggi condono) varata in Manovra. Lo stralcio riguarda solo le cartelle esattoriali dal 2010 al 2015 sotto i mille euro. Per non parlare della flat tax molto più annacquata rispetto agli annunci fatti in campagna elettorale.

Dalla politica economica a quella estera. Sul price cap al gas, tanto caro a Meloni quanto lo era a Draghi, l’Europa ha risposto picche con il muro dei Paesi del Nord, guidato dalla Germania, troppo difficile da scalare. Sui migranti chi sperava in più imprecisati blocchi navali si è dovuto ricredere.

Dopo che con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha fatto la voce grossa, Meloni si è dovuta arrendere davanti alle bacchettate della Francia e alle lezioni di Bruxelles sulla solidarietà e qualche giorno fa ha dovuto aprire i porti italiani ad alcune Ong. E gli elettori che avevano creduto nel motto “Italia libera, forte e sovrana” della Meloni saranno rimasti delusi, come gli ha fatto notare il leader M5S, Giuseppe Conte, a fronte di una “totale acquiescenza a Washington”.

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