Davanti all’occupazione della città di Gaza da parte di Israele e alla timida condanna della comunità internazionale, a prendere una posizione decisa è Papa Leone XIV, che torna a chiedere la fine delle ostilità. “Supplico che siano liberati tutti gli ostaggi, che si raggiunga un cessate il fuoco permanente, che si faciliti l’ingresso degli aiuti umanitari e che venga integralmente rispettato il diritto umanitario, in particolare l’obbligo di tutelare i civili e i divieti di punizione collettiva e di spostamento forzato della popolazione”, è l’appello del Pontefice durante l’udienza generale in Vaticano.
“Mi associo alla dichiarazione congiunta dei Patriarchi di Gerusalemme”, i quali hanno ribadito di non voler abbandonare la Striscia di Gaza e hanno “chiesto di porre fine a questa spirale di violenza e di guerra, e di dare priorità al bene comune delle persone”.
Diplomazia in stallo
Un appello che, però, sembra essere caduto nel vuoto. Infatti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è limitato a dire in modo criptico che il conflitto “è iniziato a Gaza e finirà a Gaza”. “Non lasceremo lì quei mostri (Hamas, ndr). Libereremo tutti i nostri ostaggi e faremo in modo che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele”, ha tuonato il leader di Tel Aviv durante un evento a Gerusalemme a sostegno delle colonie.
Netanyahu ha poi concluso il suo intervento gelando le speranze di una soluzione pacifica in Terra Santa, sostenendo di aver “detto che avremmo impedito la creazione di uno Stato palestinese, e lo stiamo facendo, insieme”.
Un intervento che non è passato inosservato al leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, che ha attaccato Netanyahu raccontando: “Negli ultimi giorni ho parlato con i mediatori al più alto livello nei negoziati, e mi hanno detto: non capiamo cosa sia successo, Hamas ha accettato le condizioni poste da Netanyahu, ma quest’ultimo non lo ha ancora fatto”. Sempre secondo Lapid, gli stessi negoziatori lo “hanno chiamato per chiedermi se so perché non risponde” alla proposta di cessate il fuoco.
Parole confermate anche da un servizio di Channel 12, secondo cui “personalità di alto livello in Egitto” hanno espresso alle controparti israeliane “delusione, frustrazione e rabbia” per il fatto che Israele, dopo otto giorni, non abbia ancora risposto all’ultima proposta per porre fine alla guerra e arrivare all’agognato rilascio degli ostaggi. Conferme sono arrivate anche dal portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, secondo cui “la palla è ora nel campo di Israele, e sembra che non voglia raggiungere un accordo”.
La scia di sangue
Lo stallo diplomatico dunque prosegue e, secondo tutte le fonti, la responsabilità sarebbe imputabile al governo israeliano che, proprio in queste ore, ha rilanciato la propria offensiva militare sulla città di Gaza. Un portavoce dell’esercito israeliano (IDF) ha dichiarato che l’evacuazione della città è “inevitabile”, con le forze armate pronte a conquistare l’insediamento abitato più grande dell’intera Striscia.
“Ogni famiglia che si trasferirà a sud riceverà i più generosi aiuti umanitari, attualmente in fase di elaborazione”, ha scritto su X il portavoce in lingua araba dell’esercito, Avichay Adraee, nel tentativo di incentivare l’evacuazione della città di Gaza, dove da ieri operano diverse divisioni corazzate dell’IDF.
I combattimenti, secondo un bilancio provvisorio diffuso da Al Jazeera, hanno causato almeno 21 morti, quattro dei quali caduti sotto i colpi dell’IDF mentre attendevano gli aiuti umanitari, oltre a decine di feriti.