Le Lettere

La pagina più nera

Il 30 aprile raduno a Predappio per ricordare la morte del Duce. Il gen. Vannacci definisce Mussolini uno statista, sottinteso “grande”. Ma dove siamo finiti?
Aurelio Corrias
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Gentile lettore, è triste vedere un’Italia che si rifà alla pagina più imbarazzante della nostra storia. Non solo il fascismo fu una dittatura: ma fu la dittatura di uno stupido. Secondo la vulgata, il Duce faceva marciare i treni in orario e fu un buon padre della patria che ahimè sbagliò alleandosi con Hitler. Ma non è così. Anzitutto, dittatore per dittatore, Francisco Franco evitò l’abbraccio del Führer e salvò la Spagna. E poi il Duce in 20 anni sbagliò tutto. Salì al potere come paladino dell’alta borghesia, ingannando la sua base “popolare” (toh, la Meloni ha imparato da lì), soffocando i moti operai e sostituendo i sindacati con le corporazioni. Per cultura e intelletto, l’uomo era una nullità, un maestro di scuola fallito che non ebbe mai una cattedra. Gli mancò in toto una visione politica. Un’Italia povera, agricola avrebbe avuto bisogno di sviluppo industriale per porsi sulla scia di Inghilterra, Francia, Germania. Invece lui favorì l’agricoltura e il latifondismo, e si faceva fotografare mentre mieteva il grano. Promosse il culto della personalità (un Kim Jong-un ante litteram) e perseguì manie di grandezza: farneticava di Impero d’Africa, Quarta sponda, spezzare le reni alla Grecia, invadere la Russia, 8 milioni di baionette, “L’ordine è vincere! E vinceremo!” È il repertorio di scuola di un perfetto imbecille. Eppure, dopo un secolo, risorgono epigoni e adoratori, che votano le Meloni e i La Russa. Che pena.

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