di Monica Setta
L’Italia sconta un ritardo strutturale di venticinque anni perchė la politica ha spesso vissuto più di annunci che di riforme concrete. Oggi la crisi del paese si innesta sulla debolezza strategica del sistema e mette a rischio la coesione sociale. Ma a fine anno, uno spiraglio. L’inversione di tendenza sarà possibile nel 2014 a patto che ognuno faccia la sua parte, imprese in primis. Il governatore Ignazio Visco, ieri, ha parlato in occasione dell’assemblea annua- le della Banca d’Italia. L’aria ė compassata, le parole scivolano lentamente, ma pesano come macigni. È una sferzata che fa male quella che il governatore infligge nella sua lunga e articolata relazione alla classe poli- tica italiana, incapace di stare al passo con i tempi e di mantenere con i cittadini, la so- cietà civile e reale, un rapporto serio, fidu- ciario. E sul banco degli imputati ecco anche le imprese che, tranne “ poche” eccezioni, non sono state all’altezza della sfida. Sono messaggi inequivocabili che inchiodano tutti alle proprie responsabilità e pongono l’accento immediatamente sul tema centrale del dibattito economico: il lavoro. Il governatore di Bankitalia lancia l’allarme sul tasso di disoccupazione giovanile che al sud supera il 40 per cento e chiede provvedimenti sul cu- neo fiscale per ridurre la tassazione sul lavoro proprio mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando ai prefetti per la festa del 2 giugno sentenzia, lapidario: “ Il disagio sociale deve essere al centro dell’azio- ne pubblica”. C’ė un filo sottile che lega la Relazione annuale di via Nazionale alle ri- velazioni Istat che, sempre ieri, hanno dif- fuso un dato drammatico: solo nel primo trimestre dell’anno sono stati persi oltre 100mila posti di lavoro. Nei passaggi della sue “Considerazioni finali”, poi, Visco non ha risparmiato stoc- cate alle fondazioni bancarie, chiedendo loro di “promuovere la selezione degli amministratori delle banche sulla base della competenza e della professionalità, con criteri trasparenti”. Infine critiche anche alle banche popolari, la cui disciplina è stata considerata non più al passo con grandi gruppi di piazza Affari. Per questo, ha spiegato il governatore, “andrebbe resa più agevole, per le popolari quotate, la trasformazione in società per azioni”. Un riferimento, nemmeno troppo nascosto, la caso Bpm.