La ricetta di Vittorio Sgarbi: facciamo riemergere il bello

di Massimiliano Lenzi

Prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Fede, speranza e carità. Sono sette le virtù cristiane (cardinali le prime quattro, perché cardine dell’azione umana, teologali le altre) contrapposte ai vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia. Vizi & virtù sono il binario del vivere. Da sempre. Per le persone comuni e per la politica. Perciò, per la nostra campagna in difesa della bellezza, abbiamo chiesto a Vittorio Sgarbi di elencarci sette virtù e di indicarle alla politica, spesso incolta & viziata, al fine di provare a tutelare al meglio il patrimonio artistico italiano.

Sgarbi, la prima virtù di cui abbiamo bisogno è?

“Una valutazione di principio di ciò che sia il patrimonio, la bellezza: è evidente a tutti che tra Monica Bellucci e Rosy Bindi non c’è equivoco, c’è concordia di valutazione. Vuol dire che i valori di bellezza sono oggettivi, riconoscibili. Questo per ciò che riguarda il patrimonio artistico non appare così evidente perché i conflitti – voi avete scritto del caso recente di Piazza Verdi a La Spezia – tra ente locale  e lo Stato evidenziano, quando emergono, che ci sono due concezioni di bellezza e di patrimonio.  Quindi occorre dire che la definizione di valori condivisi dovrebbe essere il punto di partenza. Cioè lo Stato è la coscienza del bene. Quindi Stato non è lo Stato, la Regione, la provincia, il comune ma lo Stato è il principio stesso di tutela del bene in virtù della sua conoscenza. Oggi non è così. Questo conflitto viene risolto, a volte, con l’intervento dell’Unesco. Quando un bene che è di per sé assoluto ha una definizione come bene dell’umanità da parte dell’Unesco, tutti son tranquilli. Cosa che non vuol dire che quei beni siano assoluti ma vuol dire che quei beni hanno avuto il destino di essere in qualche modo indicati”.

La seconda virtù?

“Il Potere che esprime lo Stato nella tutela. Partendo dal primo punto – che è lo Stato come coscienza del bene – il punto secondo è: il vero Potere non è un Potere interessato e vicino ma è un Potere indifferente e lontano. L’unico modo che ho di tutelare un luogo è di non avere un interesse particolare a farci intorno un ristorante, un albergo, una qualche utilità, che è quello che muove gli enti locali a dare autorizzazioni per fare qualunque scempio. Ed allora ecco che torna di nuovo l’Unesco come esempio: è un non luogo che stabilisce a distanza che un bene che sta in Afghanistan, in Namibia o a Vercelli, è un bene di tutta l’umanità. Patrimonio dell’umanità. Questa etichetta viene data dal Potere più lontano possibile e più indifferente possibile agli stimoli locali”.

Lo Stato ha coscienza del bene e decide. Terzo?

“Eliminare qualunque forma di decentramento decisionale.  Il decentramento può essere solo centrale. Io affido anche alla persona meno prevedibile la gestione di un bene, con principi condivisi.  Ma non faccio sovrintendenze regionali, comunali, che abbiano poteri autonomi rispetto a quello statale, in virtù del Titolo V della Costituzione che è quello che ha creato conflitti tra Stato e regione nelle competenze.  Puoi regionalizzare e delocalizzare solo quello che ha funzione gestionale ma non ciò che ha funzione decisionale. La decisione deve essere di poche persone che pensano e pensano per tutti”.

Lo Stato ha coscienza del bene, decide e non decentra mai le proprie decisioni. La quarta virtù?

“Occorre una valutazione del patrimonio privato che consenta la riemersione di circa due milioni di pezzi nascosti, prevalentemente archeologici, perché proibiti dalla norma che impedisce di possedere cose che vengono dal sottosuolo. Il principio generale potrebbe trasformare questa proprietà in custodia ma la rivelazione dei beni posseduti non è un condono bensì un vincolo di conoscenza che prevale sul vincolo di polizia.

Oggi abbiamo un vincolo di polizia per cui tutti nascondono le cose o le vendono all’estero perché hanno paura delle notifiche, o del sequestro nei casi dei beni archeologici. Se invece io faccio un liberi tutti, la cosa cambia. Verrebbero fuori un milioni di pezzi: di questo milione ce ne saranno 50 che sono eccezionali e lo Stato li compra; 2mila che sono di interesse generale e vengono certificati e gli altri che lasci perché sono indifferenti. Questo presuppone che nel momento in cui tu liberi tutti vieni a conoscere quello che in questo momento non conosci perché a rischio di sequestro”.

E siamo arrivati alla quinta virtù. Che è …?

Le aperture dei musei devono essere omologate alle aperture dei cinema perché se i cinema fossero aperti alla mattina sarebbero in una crisi peggiore di quella in cui stanno. Se io vado allo spettacolo delle 20 o delle 22.30 vuol dire che ogni museo dovrebbe restare aperto almeno fino a mezzanotte. Cosa elementare che presuppone che i musei siano luoghi di ritrovo nei quali le persone vanno quando hanno tempo. Teatri, cinema e musei dovrebbero avere gli stessi orari. Oltretutto per quel che riguarda il teatro ed il cinema ci sono problemi commerciali e anche di prestazioni che presuppongono il biglietto ma la cosa fondamentale per il patrimonio artistico è l’apertura gratuita dei musei. I musei devono essere gratis, come le biblioteche. L’unica cosa che puoi pagare sono le cose che stanno attorno al museo:  il ristorante, i bar, etc. Ed il biglietto può essere richiesto per le mostre che non sono il bene stabile di un museo ma sono proposte che richiedono un regia, spostamenti, organizzazione che fa diventare la mostra come uno spettacolo”.

Ricapitolando: lo Stato ha coscienza del bene, decide e non decentra mai le proprie decisioni. Fa emergere il patrimonio privato nascosto e tiene aperti, gratis, in orari da cinema e teatri, i musei. Sesto? 

“Per tutelare il patrimonio artistico occorre inserire la difesa del paesaggio che in Italia non è un paesaggio storicamente indifferente ma è storicamente  determinato rispetto a quello in cui si è sviluppata una storia e rispetto a quello su cui si è sviluppata un’attività umana: il paesaggio agricolo, quello contadino, quello pastorale. La difesa del paesaggio può essere generalizzata perché occorre preservarlo così com’è, impedendo ogni costruzione prima che venga restaurato il paesaggio esistente.  Se in un posto ho un cascinale, io prima di fare costruzioni nuove devo restaurare quello. L’Italia è pieno di cascinali abbandonati e di magazzini orribili soprattutto nel nord Italia. Altrove vi è un abbandono di tutte le masserie, di edifici rurali e di tutto il patrimonio edilizio legato al mondo agricolo, che è una cosa gravissima. E la minaccia più grave, nei paesi dominati dalla mafia e più poveri, sono l’eolico e il fotovoltaico, la grande illusione del nostro tempo, legate a speculazioni evidenti, in cui entra pure la mafia, attraverso gli incentivi europei che hanno favorito la moltiplicazione dei parchi eolici e fotovoltaici in nome di un supposto bene energetico che in realtà non c’è affatto. Qui non esiste una possibilità di mediazione né di negoziazione: serve un divieto assoluto che impedisca che un’area che è meno consacrata delle Dolomiti – dove nessuno penserebbe di mettere le pale eoliche – invece le abbia perché si tratta di un sistema collinare, che so in Basilicata o in Molise. Ed allora avviene che a Sepino (Molise), un sito archeologico meraviglioso, ci sia la continua minaccia dell’eolico che diventerebbe un modo per sfigurare il luogo naturale e storico”.

Dulcis in fundo, la settima virtù?

“La tutela integrata dei borghi storici. La tutela del singolo bene è una pratica che è stata consolidata dalla legislazione agli inizi del secolo. In realtà il modello di Daniele Kihlgren a Santo Stefano di Sessanio (Abruzzo) indica che sarebbe salutare salvare borghi restaurandoli interamente con gli stessi metodi con cui si restaura il singolo Palazzo ritenuto significativo. Non separare il bene di particolare interesse da quelli di minore perché fanno parte di un tessuto organico in cui tutto è importante. Io ho proposto la tutela degli interni: impedire ristrutturazioni con il pretesto di riqualificare. Diciamo che il vincolo per il bene, perché esso debba essere ripristinato com’era e non rifatto, è da ottanta anni in su. Questo consentirebbe che interni, scale, ringhiere, intonaci, pavimenti, decorazioni cartacee, ornamenti, ornamenti tardo liberty, rientrassero in un vincolo di sensibilità e di gusto. Mentre invece non molti anni fa è stata distrutta una villa Liberty a Salsomaggiore ed un’altra è stata abbattuta a Morazzone (Lombardia): un edificio del 1920 che sembrava una poesia di Gozzano. E’ stato buttato giù nonostante che avesse le vetrate, i pavimenti di quell’epoca.  Nessuno butterebbe via una poesia di Pascoli del 1908 o una di D’Annunzio del 1931. Se il patrimonio letterario è guardato in modo feticistico e un manoscritto di Pascoli è considerato patrimonio artistico, non si capisce allora perché un’architettura del 1910, ‘20, ’30, possa rischiare di essere abbattuta”. Tanti, troppi i vizi italiani da superare, emersi in questa chiacchierata con Vittorio Sgarbi. Ma i 7 consigli, le virtù suggerite alla politica dal critico d’arte, sono chiari. Certo, conoscendo il Belpaese e le pigrizie del Palazzo, è probabile ci vorranno decenni prima di vederli realizzati. Non tutti, magari anche uno. E mai come stavolta ci auguriamo di sbagliare.