La riforma della diffamazione a mezzo stampa è ancora in alto mare. Il disegno di legge è bloccato al Senato da oltre un anno

La riforma della diffamazione a mezzo stampa rischia di non essere approvata prima del 2018. Il disegno di legge è bloccato al Senato da oltre un anno

Fra i disegni di legge chiusi a chiave nei cassetti delle Camere in vista del referendum del 4 dicembre c’è anche quello sulla riforma della diffamazione a mezzo stampa. È un ritardo che pesa parecchio, visto che l’approvazione in via definitiva del provvedimento è attesa da anni. E, a sentire i rumors di Palazzo, non è nemmeno detto che arrivi dopo il fatidico voto sulla riforma costituzionale. Ma andiamo con ordine. Il ddl, nato di fatto per abolire la pena del carcere per i giornalisti, è in Parlamento dal 2013 e si trascina da un ramo all’altro senza però arrivare mai alla meta. Nonostante l’opera di sensibilizzazione delle associazioni di categoria, a cominciare da Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi). Non è tutto. “Questo disegno di legge presenta numerose criticità”, dice senza mezzi termini Claudio Fava (Sinistra italiana), giornalista e vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia.

LE CRITICITÀ
“Anche se, fortunatamente, non c’è più il carcere per i giornalisti – spiega Fava a La Notizia – il fatto che questi possano arrivare a dover pagare pene pecuniarie particolarmente elevate ed umilianti rischia di rendere la soluzione più dannosa del problema”. E ancora: “Il provvedimento non prevede alcuna sanzione significativa in caso di querela temeraria, come invece avviene in altri paesi”. L’assenza di un deterrente, aggiunge il parlamentare, “è sbagliata”. Meglio sarebbe “prevedere un deposito cauzionale di una cifra che il proponente perderebbe qualora venisse dimostrato che la querela o l’azione civile è stata promossa nella consapevolezza di intimidire il giornalista, pur sapendo di avere torto”.

RITARDO CRONICO
Per Felice Casson (Pd), magistrato e componente della commissione Giustizia di Palazzo Madama (dove il testo giace ormai da settembre 2015), “dietro a questo ritardo c’è un problema di volontà politica”. Anche perché, rivela ancora Casson, la questione delle querele temerarie già richiamata da Fava “è da sempre oggetto di un certo malcontento all’interno del Parlamento”. Proprio così. Invece per il parlamentare dem “questo istituto garantirebbe la possibilità di tutelare maggiormente le testate minori, che spesso si trovano a fare i conti con richieste di risarcimenti molto rilevanti, a scopo intimidatorio e ricattatorio, a cui non possono fare fronte”. Ma per Casson non c’è solo questo. “In Italia – dice – la stessa sofferenza che c’è per la stampa c’è anche per la magistratura, ovvero i due strumenti di controllo e i pilastri della democrazia. Chi non ce l’ha a cuore prova sempre, e in tutti i modi, a minarli”. Quanto ai tempi di approvazione “è impossibile fare previsioni, anche perché in commissione Giustizia al Senato non se ne parla più da oltre un anno. Non è nemmeno detto che dopo il referendum questa e altre riforme saranno portate avanti. Vedremo”. Insomma, c’è poco da stare sereni.