La scure della Meloni sul Reddito di cittadinanza ci porta fuori dall’Europa

Mentre il governo si appresta a prendere a picconate il Reddito di cittadinanza e a smantellare il decreto Dignità aumentano le preoccupazioni di economisti e studiosi del Welfare state.

La scure della Meloni sul Reddito di cittadinanza ci porta fuori dall’Europa

Mentre il governo si appresta a prendere a picconate il Reddito di cittadinanza e a smantellare il decreto legge Dignità, due misure volute dai Cinque Stelle per dare un sostegno ai poveri, la prima, e arginare la precarietà, la seconda, aumentano le preoccupazioni di economisti e studiosi del Welfare state.

Mentre il governo si appresta a prendere a picconate il Reddito di cittadinanza e a smantellare il decreto Dignità aumentano le preoccupazioni di economisti e studiosi del Welfare state

“Se davvero fosse questa la riforma del Reddito, l’Italia diventerebbe il primo Paese in Europa a non prevedere un sostegno continuativo per tutte le persone in povertà”, ha dichiarato a la Repubblica il docente di Politiche Sociali a Trento e coordinatore scientifico del progetto Caritas, Cristiano Gori.

L’impianto di riforma cui si riferisce Gori è quello emerso dalle indiscrezioni di stampa del fine settimana, secondo cui dal prossimo anno il Reddito di cittadinanza, così come lo conosciamo noi, andrà in soffitta e verrà sostituito da altri due strumenti: uno ribattezzato Gil (Garanzia per l’inclusione) per le famiglie in povertà assoluta, al cui interno vi sia almeno un componente con disabilità, un minore, un soggetto con almeno 60 anni di età, a cui viene assicurato un assegno di 500 euro più un contributo di 280 euro per l’affitto.

E un altro, denominato Gal (Garanzia per l’attività lavorativa), per gli occupabili, che potrà essere richiesto da persone (18-59 anni) i cui nuclei familiari non abbiano al loro interno minori, disabili o anziani. Per gli abili al lavoro poi che da agosto di quest’anno, secondo quanto stabilito in Manovra, perderanno il sussidio scatterà una prestazione transitoria che si chiamerà Pal (Prestazione di accompagnamento al lavoro).

Ma tanto Gil quanto Gal sono una brutta anzi bruttissima copia del Reddito di cittadinanza

Ma tanto Gil quanto Gal sono una brutta anzi bruttissima copia del Reddito di cittadinanza. Per accedervi il governo ha rivisto in maniera restrittiva e peggiorativa i requisiti. Per quanto riguarda Gil il requisito Isee viene ferocemente abbassato da 9.360 a 7.200 euro. E arriva una stretta sulla scala di equivalenza, il moltiplicatore con il quale si calcola l’assegno complessivo, modulato in base al numero dei componenti del nucleo familiare. Non solo. I figli maggiorenni non contano né per accedere alla misura né sull’importo dell’assegno. E se possibile va peggio per quanti considerati abili al lavoro. Per gli occupabili l’assegno della Gal è di appena 350 euro e per accedervi anche qui l’Isee scende a seimila euro.

Nel caso in cui la famiglia sia composta da due occupabili, il secondo percettore prenderà la metà: 175 euro, per un totale nella coppia di 525 euro. Gli occupabili hanno diritto al sussidio per 12 mesi, senza possibilità di rinnovo. E poi – come nota Gori – “vengono abbandonati dallo Stato”, laddove “si deve assicurare il diritto a tutti i poveri a un sostegno continuativo, indipendentemente dalla composizione della loro famiglia”. “Il governo fa ancora una volta cassa sui poveri. Tutte le misure messe finora in piedi da questo esecutivo mostrano un’unica intenzione: privare della dignità chi vive forti disagi economici e lasciarlo ai margini della società”, dice dal M5S, Francesco Silvestri. “Un governo feroce, che stanzia miliardi per gli evasori ma si accanisce sui più deboli”, afferma il dem Marco Furfaro.

Il governo continua a ignorare l’emergenza salariale escludendo una legge sul salario minimo e varando micro-interventi sul cuneo fiscale

Il governo peraltro continua a ignorare l’emergenza salariale escludendo una legge sul salario minimo e varando micro-interventi sul cuneo fiscale. Il tutto mentre l’Eurostat smonta l’ennesimo alibi per non alzare i salari ovvero l’alto costo del lavoro. L’Italia per costo orario medio del lavoro è sotto la media Ue con 29,4 euro, contro i 39,5 euro della Germania e i 40,8 euro della Francia. Eppure il nostro è l’unico Paese Ocse in cui i salari negli ultimi trent’anni sono scesi (-2,90%) mentre in Francia e in Germania sono cresciuti rispettivamente del 31,10% e del 33,70%.