La stangata sulle pensioni: maxi-tagli con le destre

Con le destre al governo, la mancata rivalutazione delle pensioni ha portato un taglio agli assegni di diverse migliaia di euro.

La stangata sulle pensioni: maxi-tagli con le destre

Era uno dei cavalli di battaglia delle destre e soprattutto della Lega. Sulle pensioni, Matteo Salvini aveva promesso un cambio di passo. Con più possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro e la fine della rivalutazione parziale degli assegni. E invece le cose sono andate molto diversamente, su entrambi i fronti. Partiamo dal secondo: i pensionati con assegni sopra i 2.500 euro lordi hanno subito una perdita, per la mancata rivalutazione, di almeno 13mila euro in 10 anni. Cifra che sale fino a 115mila euro per chi ha assegni da oltre 10mila euro lordi.

Tagli alle pensioni: gli effetti della cura delle destre

La penalizzazione, evidenzia uno studio di Itinerari Previdenziali e Cida, riguarda oltre 3,5 milioni di pensionati, cioè il 21,9% del totale. E negli ultimi 14 anni è andata anche peggio, con gli assegni superiori a oltre dieci volte il minimo che hanno perso in totale 178mila euro. Ma anche per una pensione da 5.500 la perdita è di ben 96mila euro. L’analisi si concentra, però, soprattutto sulle novità dell’ultima manovra e sul triennio 2024-2026, con un’inflazione elevata che ha penalizzato “come mai prima i pensionati che più hanno contribuito al sistema”. Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, denuncia che in 30 anni le pensioni medio-alte “hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto”.

Il miraggio dell’uscita anticipata

C’è poi il vero cavallo di battaglia della Lega: le pensioni anticipate. In questo caso è la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione, a denunciare che il governo Meloni, da quando è in carica, “ha fatto crescere di oltre 500 euro l’importo soglia per il pensionamento anticipato nel sistema contributivo, rendendolo un miraggio”. Per Ghiglione fissare una soglia così alta “significa rendere impossibile l’uscita a 64 anni alla stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Basterebbe fare i calcoli: con retribuzioni medie o basse la soglia non è raggiungibile nemmeno dopo 40 anni di contributi e con l’utilizzo del Tfr”. L’Ufficio previdenza della Cgil ha infatti elaborato un’analisi sulla proposta del governo di utilizzare il Tfr per garantire l’uscita a 64 anni, spiegando che da quando c’è questo governo l’importo soglia per lasciare il lavoro a 64 anni è aumentata a 1.616,07 euro e crescerà ulteriormente fino ai 1.811,78 euro del 2030: 500 euro in più del 2022. Un incremento per cui anche l’utilizzo del Tfr sarebbe “inefficace”. Considerando che la maggioranza dei lavoratori “non riesce a raggiungere la soglia”.