Larghe intese salvate dal voto. Letta vince, forse

di Lapo Mazzei

E anche questa, per ora, è andata. Con più fortuna del Titanic il presidente del Consiglio, Enrico Letta, è riuscito a portare a casa l’ennesimo risultato, evitando la collisione con l’iceberg della sfiducia personale nei confronti del ministro della Giustizia, piazzato dai grillini sulla rotta del governo delle “larghine” intese. Certo, con l’unica opzione possibile, ovvero metterci la faccia sopra. Che potrebbe anche rivelarsi un boomerang, più che un’assicurazione sulla vita. Ma allo stato dell’arte altro il convento non sembra passare, dato che a guardia dell’ingresso c’è Matteo Renzi. Al quale il salvataggio del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, resterà indigesto a lungo. Perché il voto della Camera non è stato pro o contro il Guardasigilli ma pro o contro Letta. E il premier ha vinto. La Cancellieri chissà. Chissà se dopo il voto su Berlusconi non tocchi a lei togliere il disturbo, di sua sponte però. In modo da ridare al premier la massima agibilità. E il film della giornata racconta meglio di mille retroscena come si è messo sul palcoscenico e cosa di muove dietro le quinte. Particolarmente affollate. La ministra lascia la Camera con un sospiro di sollievo, non solo per l’esito (scontato) della seduta, ma perché vede allontanarsi giorni e giorni di tensione. Ma non fa in tempo a infilarsi in macchina, che le agenzie battono una notizia che è un nuovo fendente: i verbali di Salvatore Ligresti. Il finanziere ha raccontato ai magistrati che avrebbe – per così dire – raccomandato il ministro a Berlusconi, perché la facesse restare prefetto a Parma anziché cambiare città. Il ministro, ovviamente è sbalordito: “È falso, destituito di fondamento”, afferma la Cancellieri, “non sono mai stata prefetto a Parma. Sono stata commissario straordinario del comune di Parma nel 1994 da febbraio a maggio e ho interrotto per andare a fare il Prefetto a Vicenza; e una seconda volta per pochi giorni nel novembre 2011, poi Monti mi ha chiamato come ministro dell’Interno. Come si fa”, afferma con veemenza il Guardasigili, “a dire che sono stata raccomandata? Dove? Perché? È surreale”. Sarà pure tutto surreale, e in parte lo è vista la tempistica, ma è davvero surreale pensare che lei abbia potuto chiedere un interessamento per restare a Parma, quando si affacciavano incarichi più impegnativi e qualificanti? Il foulard a fiori indossato alla Camera per affrontare la mozione di sfiducia era un segnale dell’umore con cui ministro aveva aperto la giornata. “Non ho mentito né fatto favoritismi”, ha affermato durante il suo intervento alla Camera, “nessuna omissione di fronte ai pm. Questa vicenda ha toccato il mio onore. Ho sempre agito con fedeltà alle istituzioni, sennò avrei lasciato”, ribadisce ancora una volta. Nel tono della voce c’è una sorta di indignazione, di sdegno che non c’era il 5 novembre, quando fece l’informativa alle Camere per spiegare i contatti con i Ligresti, che conosce da decenni, e fugare i sospetti di aver favorito il trasferimento ai domiciliari di Giulia.

Telenovela
Nel discorso in Aula non c’è nessuna rivelazione, nessun asso nella manica. E non ce n’era neppure bisogno, a dire il vero. Incassato il preventivo appoggio del premier Letta, mai venuto meno in questi giorni, e rientrati nei ranghi i “dissidenti” del Pd, l’esito del voto sulla mozione M5S era già scritto. Il ministro si è difeso a testa alta come annunciato. Poi, quando in Aula è cominciata la votazione, è uscita con i suoi assistenti ed è andata alla buvette per mangiare un toast. Il braccio operato, avvolto in un tutore, fa male. La giornata più lunga sta per concludersi, o così sembra. “Un numero verde per le segnalazioni dei detenuti? Buona idea”, dice ai cronisti. Di lì a poco il voto dell’Aula le riconferma la fiducia e lei lascia Montecitorio sollevata. Subito dopo, la novità da Milano firmata ancora Ligresti. Se non è una telenovela, di certo gli assomiglia. Il problema è che il ministro della Giustizia rischia di non trovare giustizia.